Velázquez, La domestica di Emmaus

Ha appena portato il cibo al tavolo che sta là dietro, nell’altra stanza di quell’osteria di Emmaus. È appoggiata al bancone del lavoro, pensosa e con una domanda dentro: chi è quell’uomo che sta al centro e che parla in modo così intenso agli altri due commensali? Che legame avevano tra di loro? E cosa si stavano dicendo?
Lei era una semplice cameriera e stava nel suo ruolo. Eppure quei tre l’avevano colpita. Non osa girarsi, ma la curiosità è tanta; così, mentre sta afferrando la brocca da portare alla tavola, con lo sguardo s’accorge che quel pentolone messo un po’ a sghimbescio sul piano funziona per lei da specchio: può vedere senza farsi vedere.
Diego Velazquez è sempre magistrale nel moltiplicare i piani di visione di un quadro e rovesciare le gerarchie di un soggetto. Lo documenta bene il suo capolavoro, Las Meninas. In questo caso gli era stato chiesto di dipingere una Cena in Emmaus (oggi conservata la Museo di Dublino) e lui sceglie un punto di vista inaspettato ma del tutto verosimile.
Il tavolo con Gesù e i due discepoli incontrati per strada sta dietro, oltre la finestra passavivande, come se si trattasse di un tavolo qualunque, un tavolo tra i tanti. Oltretutto da questo punto di osservazione di uno dei commensali si scorge solo una mano che gesticola: il resto della figura è nascosta dalla parete.
Siamo in una situazione di assoluta normalità, una pausa pranzo di un giorno come tutti gli altri. Non ci sono fattori di eccezionalità che obbligano ad una gerarchia diversa di piani. Eppure la ragazza avvicinandosi a quel tavolo ha avvertito che qualcosa di imprevisto le aveva lasciato un segno, uno stupore nel cuore.
E ora fa quasi fatica a riprendere il ritmo del lavoro, perché vorrebbe saperne di più; quanto darebbe per sedersi a quel tavolo o solo avvicinarsi per restare semplicemente ad ascoltare! Era una semplice domestica di Emmaus, nella cui vita aveva fatto breccia un’attrattiva inattesa e inimmaginata. Bello per noi vederla in primo piano.