Netanyahu, Trump e l'incendio di Los Angeles

Telefonata importante ieri tra Trump e Netanyahu sulla questione del nucleare iraniano. Perché è maledettamente vicina, cioè domani, la scadenza dell’ultimatum lanciato da Netanyahu per chiudere l’accordo Usa – Iran, oltre il quale si sentirà autorizzato a colpire Teheran.
Trump a Bibi: non attaccare
I contenuti della telefonata sono stati riferiti in via confidenziale ad Haaretz: “Trump ha chiesto a Netanyahu di smettere di parlare in pubblico di un attacco contro i reattori nucleari iraniani e che il primo ministro non otterrà il via libera per condurre un attacco del genere nel prossimo futuro”, mentre il premier israeliano “ha chiesto alla Casa Bianca di porre fine ai negoziati con l’Iran”.
Al termine del colloquio, Trump ha annunciato pubblicamente che giovedì si terrà un nuovo round di negoziati con Teheran – nulla importando, dunque, la richiesta del premier israeliano – nel quale l’Iran dovrebbe portare una controproposta a quella avanzata da Washington e respinta.
Nel dare l’annuncio, Trump ha ribadito che o l’Iran chiude un accordo o sarà costretto a bombardare. E c’è in questo ultimatum un senso di disperazione: sa che non può reggere a lungo alla pressione di Netanyahu e dei falchi anti-iraniani che allignano a Washington, aspetto che Teheran non sembra tenere nella dovuta considerazione.
Probabile che l’Iran, nel redigere la controproposta, si sia confrontato con la Russia, alla quale Trump ha chiesto aiuto, ma restano i tanti dubbi su questo rischioso tira e molla. Anche perché non sembra che Netanyahu abbia recepito la sollecitazione del presidente americano, dal momento che, terminata la conversazione, ha riunito il gabinetto di sicurezza.
Ma stavolta Trump ha giocato una carta che la comunità ebraica internazionale e tanti israeliani dovrebbero apprezzare, avendo dichiarato che Teheran è entrata nella partita dei negoziati su Gaza e che si aspetta che riesca a favorirne il buon esito, sviluppo che porterebbe a liberare tutti gli ostaggi, o almeno parte di essi, e dare un po’ di tregua ai poveri palestinesi. Sperare è d’obbligo, crederci no.
Gli hacker di Teheran
Nel frattempo, l’Iran si prepara al peggio. Così ieri ha annunciato di aver portato a termine l’hackeraggio più intrusivo che Israele abbia mai subito. Un’operazione nella quale, come scrive al Mayadeen, avrebbe trafugato informazioni cruciali sulle risorse nucleari israeliane, tali da permettergli di colpirle.
Quindi, se Tel Aviv proverà davvero a bombardare gli impianti nucleari iraniani rischia di ricevere una risposta analoga, con la conseguenza che Israele, il cui territorio è limitato, potrebbe non essere più abitabile per i decenni a venire.
Non solo, secondo al Mayadeen, Teheran avrebbe trafugato i “piani [di Israele] per la regione”, aggiungendo che presto avrebbe iniziato a renderli pubblici. Ci saranno “sorprese”, ha aggiunto la fonte interpellata dal giornale arabo. Se si tiene presente che Israele ha armato una milizia collegata all’Isis contro Hamas, di sorprese gli archivi israeliani dovrebbero riservarne tante.
Detto questo, tutto ciò potrebbe essere solo un modo per aprire una trattativa sottotraccia con l’avversario regionale, anche se convincere Netanyahu a rinunciare al suo obiettivo decennale sarà arduo, soprattutto ora che il caos globale che provocherebbe una guerra con l’Iran gli serve per coprire gli orrori di Gaza e per stringere a coorte la sua coalizione di governo, che traballa a causa della rivolta degli Haredim contro la leva obbligatoria (dalla quale prima erano esentati).
Per inciso, due giorni fa è stata incendiata la “sinagoga frequentata dall’ex rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef, che è anche il leader spirituale del partito ultraortodosso Shas”, che si sta sfilando del governo; un attacco che altrove sarebbe stato qualificato come antisemita e che i sostenitori dello Shas hanno attribuito alla violenta reazione alla loro iniziativa politica.
Civil war
Al di là degli interna corporis israeliani, resta il confronto regionale, che potrebbe accendersi di nuove vampate a breve. Trump sta facendo quel che può per uscirne, ma se prima non aveva la forza per piegare di Netanyahu ora è anche peggio.
Si trova, infatti, impelagato a sedare la rivolta innescata dalla stretta sull’immigrazione, che avevamo già stigmatizzato come brutale (pur se era necessario riportare un po’ di ordine dopo le porte spalancate dell’era Biden e il caos conseguente).
Epicentro dell’incendio Los Angeles, che ha già visto accendersi le rivolte afroamericane, prima più generalizzate – quelle epocali del ’92 – ma poi gestite da Black Lives Matter, movimento bruscamente ridimensionato – dopo esser stato utilizzato dal partito democratico – dopo che alcuni dei suoi dirigenti avevano espresso con troppa forza il loro sostegno alla causa palestinese.
Al di là della digressione, resta appunto la rivolta che sta incendiando le città americane e mettendo alle strette Trump che, solito cowboy, crede di poter risolvere tutto con la forza: la guardia nazionale prima e i marines poi. Rischia di far divampare ancora più un rogo alimentato da fin troppi piromani.
Una nota di colore: nell’estate del 2024 nelle sale è uscito il dimenticabile film Civil War, nel quale la reazione spropositata di un brutale presidente americano a una ribellione locale innesca una guerra civile tra Stati lealisti e anti-governativi, con vittoria di questi ultimi, le cui forze speciali assaltano la Casa Bianca e uccidono il presidente. Anche Hollywood, la fabbrica dei sogni di Los Angeles, nelle sue fantasmagorie casualmente anticipatrici, riserva sorprese.
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