Russia-Ucraina: il mancato scambio dei caduti e l'attacco a Dnepropetrovsk

Ieri è stato vanificato uno degli accordi raggiunti a Istanbul che prevedeva uno scambio di salme dei soldati caduti tra Russia e Ucraina. Mentre è iniziato lo scambio di prigionieri, che avverrà a tappe, quello dei caduti non è avvenuto. La Russia ha portato sul luogo nel quale doveva avvenire il trasferimento i corpi di 6000 soldati defunti, ma non la controparte.
Kiev ha accusato Mosca di barare, affermando che non era quella la data concordata, ma i russi insistono sulla loro datazione. Peraltro, il capo della delegazione russa la scorsa settimana aveva annunciato che avrebbero avviato lo scambio esattamente nel giorno in cui hanno trasportato il triste carico alla frontiera, senza che Kiev smentisse la tempistica.
La querelle potrebbe spiegarsi con quanto avevamo scritto in altra nota, nella quale accennavamo come l’attacco ucraino ai bombardieri strategici e ad altri obiettivi all’interno della Russia era diretto a vanificare il summit di Istanbul, stabilito per il giorno successivo.
Così non sembra affatto fuori luogo affermare che le titubanze di Kiev sullo scambio sia una scusa per tentare di evitarlo, creando in tal modo un vulnus anche agli accordi minimali raggiunti tanto faticosamente a Istanbul.
Altri motivi secondari, ma non per questo irrilevanti, vengono enunciati da Strana. Anzitutto l’imbarazzo di mostrare al mondo tutti quei caduti ucraini, cosa che rischia di suscitare domande sulla vera entità delle vittime di Kiev.
Al netto delle cifre irrisorie quanto irrealistiche denunciate, il vero numero dei caduti ucraini è il segreto più gelosamente custodito di questo conflitto, perché se i numeri reali fossero resi di pubblico dominio susciterebbero domande, sia sulla gestione del conflitto da parte della leadership ucraina sia sulla follia di proseguirlo a oltranza. Si tratta, infatti, di numeri da capogiro: tra gli analisti non consegnati alla propaganda c’è chi ne conta fino a un milione se non più. Un’ecatombe.
Inoltre, Kiev si è impegnata a pagare un risarcimento di “15 milioni di grivne” per ogni caduto. Per i 6000 caduti restituiti dovrebbe quindi erogare alle famiglie 90 miliardi di grivne, quasi 2 miliardi di euro, che andrebbero a gravare su un bilancio già più che deficitario.
E però Kiev sta tentando una scappatoia: “Zelensky – scrive ancora Strana – ha già dichiarato che la maggior parte dei corpi non è stata identificata e quindi non si sa se si tratti di soldati ucraini o russi [i russi, rileva ancora Strana, hanno iniziato a dare un nome alle vittime, ma tocca a Kiev confermare ndr.]”.
Ma non si sa se l’escamotage di Zelensky reggerà e, “potenzialmente, lo scandalo dei cadaveri potrebbe aumentare la già evidente sfiducia nella società nei confronti dei dati ufficiali sulle perdite e portare anche a un aumento del malcontento nei confronti delle autorità da parte dei parenti dei soldati dispersi”.
Comunque, sembra che la tergiversazione si possa superare, soprattutto a motivo dell’incalzare degli americani, con il Segretario di Stato Macro Rubio che ha ribadito che gli Usa vogliono che il terzo round di negoziati si tenga. Nel frattempo, infatti, come accennato, si registra il primo scambio di prigionieri, anche se nel comunicato in cui Zelensky lo ha annunciato con la dovuta enfasi resta sottesa la querelle sui caduti.
Nell’attesa di un qualche passo diplomatico, che urgerebbe per porre fine alla mattanza, i russi hanno aperto un nuovo fronte, attaccando la regione di Dnepropetrovsk. Un attacco strategico e simbolico insieme, come accenna il Times. Simbolico perché si tratta di una regione non toccata direttamente dalla guerra né contemplata finora nelle richieste dei russi. Serve cioè a far capire a Kiev che l’avvertimento di Mosca, di cedere quattro regioni ora per non essere costretta a cederne di più in seguito, è serio.
Strategico perché se l’attacco riesce, potrebbe risultare “una catastrofe per la logistica delle Forze Armate ucraine sull’intero fronte meridionale e su metà del fronte orientale” (Strana). Nel frattempo i russi stanno ammassando truppe e armamenti pesanti anche a Nord, nei pressi della città di Sumy.
Al di là dell’aspetto simbolico, che resta, l’attacco a Dnepropetrovsk potrebbe essere l’avvio di una manovra a tenaglia oppure potrebbe risultare solo un diversivo per costringere Kiev a inviare risorse per difendere quella regione tanto cruciale per poter attaccare con più facilità a Nord. Sviluppi da seguire.
Infine, da notare che la Russia ha reagito in maniera contenuta all’attacco contro i suoi bombardieri strategici. Pur effettuando attacchi massivi, e probabilmente mirati in particolare ai centri di comando che ospitano gli ufficiali occidentali che nel segreto coordinano l’esercito ucraino, hanno usato solo armi convenzionali, evitando sia l’uso di atomiche tattiche, come peraltro era ovvio, sia il micidiale Oreshnik, che al suo palesarsi sul campo di battaglia ha suscitato timori per le sue potenzialità.
Si può immaginare cosa sarebbe accaduto se un attacco simile fosse stato sferrato contro i bombardieri strategici americani… il Paese attaccante sarebbe stato incenerito (Iraq docet). Da notare una notizia del Pais che dà la misura della follia dilagante nella leadership ucraina: hanno iniziato a installare punti di assemblaggio per droni da combattimento nelle case private.
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