2 Luglio 2025

Gaza. Trump propone una tregua di 60 giorni. Si attende la risposta di Hamas

di Davide Malacaria
Trump and the IDF Chief Want to End the Gaza War, but It's Not Clear if Netanyahu Is on Board
Tempo di lettura: 4 minuti

Israele ha accettato una tregua di 60 giorni a Gaza, ha dichiarato Trump ieri urbi et orbi al termine dei colloqui riservati intercorsi a Washington con l’inviato di Netanyahu Ron Dermer. Ieri abbiamo accennato a come Netanyahu abbia posto alcune condizioni per accettare, cioè la fine del suo processo e l’ampliamento degli Accordi di Abramo.

E abbiamo dato conto degli sviluppi su ambedue i fronti, cioè gli incontri riservati avviati dal presidente israeliano Isaac Herzog, che può concedere la grazia al premier, e la remissione delle sanzioni statunitensi contro la Siria per convincere le autorità di Damasco a partecipare degli Accordi di Abramo. Evidentemente tali sviluppi, anche se gli obiettivi desiderati non sono ancora stati raggiunti, hanno soddisfatto Netanyahu.

Ma è ancora presto per tirare un sospiro di sollievo: l’offerta di Trump, infatti, si richiama all’ultima proposta stilata da Witkoff, che fu rigettata da Hamas perché non c’era nessuna garanzia reale sul fatto che, dopo i 60 giorni di tregua, Israele avrebbe riposto le pistole nella fondina (sul Timesofisrael i dettagli della proposta).

Full text of Witkoff’s proposal for 60-day Gaza ceasefire and hostage release deal

E, infatti, Hamas ha già fatto trapelare che la sua richiesta di garanzie reali per porre fine al conflitto non ha ancora avuto risposta, rigettando implicitamente l’offerta. Non una risposta ufficiale, però, ma ufficiosa, che ha lo scopo di sollecitare la controparte a fare qualcosa in proposito. Tanto che ha ottenuto subito una rassicurazione (basterà?).

Riportiamo: “Una fonte israeliana ha riferito ad Haaretz che l’ultima bozza dell’accordo, a cui il ministro Ron Dermer ha dato una risposta positiva agli Stati Uniti, non contiene un chiaro impegno israeliano a porre fine alla guerra, ma offre solide garanzie sulla questione”.

Current Gaza truce proposal has stronger assurances for ending war, Israeli source says

“Il documento afferma, ad esempio, che se non si raggiungerà un accordo [sul fine guerra] durante i 60 giorni di cessate il fuoco, i mediatori saranno responsabili di garantire che i negoziati continuino ‘a determinate condizioni’. ‘Non è solo la formulazione’, ha detto la fonte, ‘è anche il tono generale, che permette ad Hamas di vedere quanto gli americani vogliano e siano in grado di spingere Israele in quella direzione'”.

E, in effetti, Trump ha dichiarato che sarà “molto fermo” nei confronti di Netanyahu – atteso per lunedì prossimo alla Casa Bianca – perché accetti di chiudere la partita. Mentre le minacce contro Hamas che ha accompagnato al suo annuncio, cioè che, se non accetteranno, le cose andranno “molto peggio” di adesso, sembrano più un modo per coprirsi le spalle dalle critiche di destra, per far vedere cioè che intende piegare Hamas, non Netanyahu, come in effetti è.

D’altronde, è ovvio che se salta anche questa opportunità, le cose andranno peggio ed era superfluo esplicitarlo. La macchina della morte israeliana è pronta a intensificare la sua opera.

Sul punto, un interessante articolo di Amos Harel su Haaretz, nel quale si spiega che Trump e il Capo di Stato Maggiore dell’IDF, il generale  Eyal Zamir, sono determinati a chiudere le ostilità, ma “non è chiaro se Netanyahu è d’accordo”.

Trump and the IDF Chief Want to End the Gaza War, but It's Not Clear if Netanyahu Is on Board

Il fatto che la guida dell’IDF sia della partita ha un certo peso. Nell’articolo, Harel spiega la posizione di Zamir come dovuta al fatto che l’esercito israeliano si è impantanato. Infatti, si legge che ” a Gaza l’esercito sta annaspando. E anche quel poco che fa è soprattutto far rumore [e tante vittime ndr.], nella speranza di costringere Hamas a scendere a compromessi”.

Insomma, brancolano nel buio, situazione che Zamir ha riportato nelle ultime due riunioni del gabinetto di sicurezza, nelle quali ha riferito alle autorità politiche che tutti gli obiettivi prefissati dal governo sono stati raggiunti e che qualsiasi ulteriore espansione delle operazioni richiederebbe la definizione di nuovi obiettivi”. Infine, particolare più che importante per altri che non Netanyahu, le condizioni degli ostaggi peggiorano giorno dopo giorno.

Harel non lo scrive, ma ci sono altri tre fattori che spingono l’esercito a chiedere il cessate il fuoco. Anzitutto il fatto che la lunga guerra multi-fronte ha logorato le risorse disponibili, in particolare quelle umane. In secondo luogo, i danni agli apparati di intelligence e militari causati dai missili iraniani durante il breve conflitto con Teheran pone problematiche alla campagna di Gaza.

In terzo luogo Hamas sta dando prova di una impossibile resilienza: da marzo scorso, cioè da quando Israele ha ripreso la mattanza, sono stati uccisi 31 militari dell’IDF, tra soldati e ufficiali, la più alta percentuale di vittime dall’inizio dell’invasione della Striscia, durante la quale Israele ha perso in totale 436 militari e ha contato 6.029 feriti (numeri ufficiali, quelli reali saranno ben più alti).

"يديعوت أحرونوت": ثمن المماطلة ثقيل.. 31 جندياً قُتلوا منذ الصفقة الأخيرة

E anche oggi i media arabi riportano di operazioni contro l’IDF. Hamas non può vincere, ovviamente, ma il fatto che continui a operare nonostante l’IDF occupi l’80% di Gaza e siano passati venti mesi dall’inizio dell’invasione, stride con i toni trionfalistici della propaganda di Tel Aviv.

Di interesse un particolare, che evidenzia in altro modo tale resilienza. Hamas ha dato un ultimatum al capo dei miliziani dell’Isis della Striscia ingaggiati da Israele come proxy. Abu Shabab ha dieci giorni di tempo per consegnarsi alle autorità di Gaza per essere processato per tradimento e costituzione di banda armata, altrimenti sarà processato per contumacia.

Al di là della resilienza di Hamas, che per Israele è più che importante, resta da attendere la risposta ufficiale della milizia palestinese alla proposta di tregua di Trump.

Ma fidarsi di Netanyahu è davvero difficile: “Come già accaduto in passato – scrive, infatti, Harel – Netanyahu potrebbe cercare di mettere in scena uno spettacolo a uso e consumo degli americani. Potrebbe cioè mostrare che vuole raggiungere un accordo, ma facendo pervenire ad Hamas il messaggio che la sua posizione resta inflessibile, con l’obiettivo di addossare la colpa del fallimento al nemico”. Teatrino già visto… Sperem, che altro?

 

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