Difendere Kiev dalle richieste russe... ma senza interpellare la popolazione
Tempo di lettura: 4 minutiTolto di mezzo il consigliere di Zelensky Andriy Yermak, dimesso prima che fosse arrestato per corruzione, i negoziati sul conflitto ucraino hanno una chance. Ciò non vuol dire che riusciranno, ché i fautori delle guerre infinite non si rassegneranno all’idea che la guerra per procura contro la Russia fino all’ultimo ucraino finisca: troppi gli interessi in gioco, sia economici che geopolitici.
Ma, almeno, Stati Uniti e Ucraina hanno potuto iniziare a parlare senza scontrarsi con il niet preventivo e irrevocabile del plenipotenziario di Zelensky, l’uomo che Londra e neocon avevano scelto per guidare l’Ucraina da dietro le quinte.
Tanto che il primo tentativo serio di imporre a Kiev di chiudere il conflitto da parte dell’amministrazione Trump, che doveva essere avviato ufficialmente a Istanbul il 19 novembre (dove Witkoff aveva dato appuntamento a Zelensky), è sfumato quando è diventato chiaro che la manovra per escludere Yermak dai giochi era fallita.
Nonostante fosse braccato dalle inchieste dell’Ufficio anti-corruzione e una nutrita schiera di parlamentari del partito del Servitore del popolo ne avesse chiesto le dimissioni, Yermak aveva resistito e, dopo essere volato a Londra per ricevere il sostegno del suo principale sponsor, si era presentato a Istanbul insieme a Zelensky e al Consigliere per la sicurezza nazionale Rustem Umerov, che in precedenza aveva concordato con Witkoff i 28 punti del piano di pace. Vista la mala parata, Witkoff ha deciso di disertare il summit, rimandando a data da destinarsi l’avvio ufficiale del negoziato.
Adesso che la pietra d’inciampo è stata eliminata, Umerov ha potuto riprendere i negoziati, superando anche la paura di essere arrestato o peggio dai suoi antagonisti, terrore che l’aveva indotto a restare alla larga dalla sua patria per alcuni giorni.
E ieri i negoziati hanno preso slancio a Miami, anche se, appunto, è presto per tirare un sospiro di sollievo, anche perché in America non tutti condividono la determinazione di Trump e tra questi, purtroppo, c’è Marco Rubio.
Il Capo del Dipartimento di Stato eviterà di contrapporsi apertamente a Trump, ma cercherà di inserire nel piano condizioni inaccettabili per la Russia, come d’altronde ha già fatto quando ha revisionato a Ginevra, insieme ai “volenterosi” europei, quanto prima concordato tra Witkoff e i russi, elaborando un irrealistico piano di 18 punti.
Insomma, tante le incognite, tra cui anche la posizione di Zelensky rispetto al dialogo in corso: se da un lato anche lui non può opporsi apertamente agli Stati Uniti, dall’altro sta cercando sponde per sé, dal momento che ora anche la sua presidenza è a rischio, e le cerca in un’Europa che non vuole rassegnarsi agli eventi.
Da qui il suo viaggio per abbracciare Macron, che più si è esposto per allargare il conflitto ucraino su scala europea – tale il sotteso delle sue ripetute esternazioni sull’invio di forze Nato in Ucraina – mentre Londra, primo motore immobile del conflitto, è sempre rimasta coperta per evitare di irritare Trump.
Partita complicata anche dalle indebite interferenze degli alti dirigenti Nato, che continuano a comportarsi come se l’organismo preposto alla Sicurezza dei Paesi membri sia un soggetto politico e non un organo militare subordinato alle decisioni dei leader dei Paesi stessi. Quando i generali prendono potere non è mai di buon auspicio.
Al di là di questi particolari, poco si sa dei negoziati si stanno svolgendo a Miami, solo che il nodo più difficile da sciogliere, com’è ovvio, è la cessione di territori alla Russia o, meglio, riconoscere che i territori che ora occupano, o parte di essi, sia ricompreso nell’eventuale accordo di pace.
I critici di tale riconoscimento obiettano che tale cessione porrebbe criticità insuperabili alla sopravvivenza della sovranità ucraina. In proposito si può ricordare che tutte le guerre che l’Occidente ha scatenato di recente (peraltro su pressione degli attuali “difensori” di Kiev…), a parte quella libica che ha prodotto solo caos, sono finite o con un cambio di regime che ha imposto un governo fantoccio, cioè con la fine della sovranità del Paese bersaglio, oppure, com’è avvenuto nella guerra contro la Serbia, con l’imposizione a Belgrado della cessione del Kosovo, vulnus che però non ha posto fine alla sua sovranità, sopravvissuta peraltro a vari tentativi successivi di regime-change (promemoria utile anche per le paventate, quanto aleatorie, manovre russe successive a un’eventuale fine delle ostilità).
Inutile nutrire un irenico ottimismo, nonostante diversi fattori sembrano favorire l’intesa. Più consono sperare che vinca il realismo, un realismo che impone la fine di una guerra persa e che sta falcidiando la popolazione ucraina. Popolazione che i fautori della guerra infinita dicono di voler difendere dai russi e da una pace imposta, evitando però accuratamente di interpellarla.
Eppure non è difficile farlo: in questi anni di guerra sono stati effettuati sondaggi a go go. Forse il motivo di tale elusione sta nel fatto che l’ultimo sondaggio, svolto dalla Gallup agli inizi di agosto, aveva rilevato che il 70% degli ucraini chiedeva di avviare negoziati con i russi.
E ad agosto il fronte era ancora più o meno saldo, non stava collassando come adesso, crollo del quale gli ucraini sono perfettamente consapevoli, ma che sembra non interessare granché né alla leadership di Kiev né ai media mainstream.
Da ultimo, e per comprendere la follia della “resistenza” ucraina, basta leggere il recente intervento di Valery Zaluzhny, ex Capo di Stato Maggiore ucraino e attuale ambasciatore a Londra. In un accordo con Mosca, scrive Zaluzhny, Kiev dovrebbe ricevere come garanzie di sicurezza “l’adesione alla NATO, il dispiegamento di armi nucleari sul proprio territorio o lo schieramento di un ampio contingente militare alleato in grado di affrontare la Russia”. Condizioni che hanno incontrato il niet addirittura di un superfalco come Lindsey Graham. E Zaluzhny è sicuramente una figura importante per Kiev in questo momento di transizione.
Questa follia deve finire. Domani Witkoff è atteso a Mosca.


