22 Ottobre 2015

Assad, Putin e la Russia come potenza globale

Assad, Putin e la Russia come potenza globale
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Beshar al-Assad vola da Vladimir Putin: un colpo di teatro che ha fatto il giro del mondo perché rende palese, semmai qualcuno non l’avesse capito, che al centro della questione siriana c’è la Russia. È Mosca a dare le carte per cercare una mediazione tra le varie fazioni che da anni stanno alimentando questa guerra per procura contro Assad, come evidenzia anche il fatto che durante tale incontro Putin ha parlato al telefono sia con il presidente turco Tayyp Erdogan che con il re saudita Salman bin Abdulaziz, principali sponsor delle milizie islamiche anti-Assad (almeno quelli ufficiali).

 

L’incontro, che precede quello tra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il Capo del Dipartimento di Stato Usa John Kerry previsto per venerdì a Vienna, manifesta l’idea di dare una svolta al conflitto, passare dalle armi alla diplomazia.

 

Come tra l’altro evidenziano le dichiarazioni di Putin e di Assad rilasciate a margine dell’incontro moscovita, nel quale si è parlato di “transizione” e del futuro ruolo del presidente siriano, al quale in tanti si sono ormai rassegnati a offrire un periodo di permanenza al potere durante un periodo di transizione più o meno breve. Un passo non indifferente, dal momento che per anni il negoziato è stato bloccato dalla richiesta di una uscita di scena previa di Assad come passo necessario all’inizio di qualsiasi trattativa.

 

Ovviamente ci sono ancora resistenze, come dimostra l’intervista del ministro degli Esteri del Qatar alla Cnn, nella quale Khalid al-Attiyah ha evocato la possibilità che il suo Paese possa entrare direttamente in guerra a fianco delle milizie islamiste. Il Qatar ovviamente non ha la forza militare per contrastare sul campo l’esercito russo, quindi l’improvvida sortita indica che ha le spalle coperte: non solo da Erdogan, che insieme alla monarchia del Qatar condivide antichi legami con la Fratellanza musulmana, ma anche da altre forze, ben più importanti.

 

Il fatto che l’intervista del ministro del Qatar alla Tv americana sia stata rilasciata in contemporanea con il vertice di Mosca fa supporre che vincere tali resistenze non sarà facile.

E però, sul Corriere della Sera, in un articolo dedicato all’incontro moscovita, Franco Venturini spiega che il vero rischio che corre Mosca è quello di voler «stravincere».

 

Già, perché Putin ha vinto: con la sua breve ed efficace campagna militare ha dimostrato al mondo che la coalizione internazionale anti-Isis messa su da Obama non è stata in grado di contrastare il Califfato e le altre e variegate agenzie del terrore scatenate in territorio siriano; ha ribaltato le sorti di una guerra che ormai condannava Assad allo scacco matto e la popolazione siriana alla dura legge della jihad; ha costretto la comunità internazionale a riprendere, obtorto collo, il filo di un dialogo che l’ormai certo regime-change in Siria aveva consegnato all’oblio; ha dimostrato che la Russia non è solo una potenza nucleare obsoleta ma ha anche un apparato militare efficace e moderno; ha riportato la Russia al centro della geopolitica mondiale, dopo che la crisi ucraina l’aveva relegata in un angolo.

 

E però se vuole vincere davvero, Putin deve evitare la tentazione di stravincere: ciò vuol dire che dovrà  trovare una exit strategy onorevole da contrattare con gli Stati Uniti. E insieme agli Stati Uniti (da solo non potrebbe) dovrà trovare delle compensazioni alle ambizioni di Erdogan, che già pregustava l’annessione de facto di parte del territorio siriano (che gli avrebbe garantito il controllo sull’intero Paese); e ai sogni di quanti, in Arabia Saudita, immaginavano di issare il vessillo dell’islam wahabita a ridosso dell’Iran sciita; oltre che dare a Israele rassicurazioni sulla sicurezza dei confini, come da richiesta di Netanyahu nella sua recente visita a Mosca.

 

Un rebus di difficile composizione, del quale Putin è ben cosciente, ma al quale è vitale trovare una soluzione. Ne va il destino del martoriato popolo siriano, ma anche della sua patria.

Il presidente russo sa bene, infatti, che la campagna militare intrapresa in Siria a lungo andare sarà sempre meno controllabile e il pericolo che si trasformi in una trappola mortale (vedi Afghanistan) sarà sempre maggiore.

 

I negoziati per risolvere la crisi siriana entrano quindi nel vivo. Tutto può accadere, ma sembra che le possibilità di riuscita siano maggiori di quelle contrarie. Anche considerando che per un Obama a fine mandato (soprattutto dopo le dimissioni di Biden che segnano la fine di un periodo storico degli Stati Uniti), chiudere felicemente la questione siriana potrebbe essere l’ultima chance per entrare nella storia degli Stati Uniti d’America, soprattutto dopo lo scacco afghano (la promessa di riportare indietro le truppe Usa è stata disattesa).

 

Ma Putin sa anche che la soluzione del conflitto, semmai arriverà, potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Finora ha potuto giocare sul fattore sorpresa, ma, in quanto tale, è temporaneo.

E una vittoria sullo scacchiere siriano, che consentirebbe alla Russia di tornare a esercitare una influenza sul Medio Oriente, non potrà che suscitare reazioni internazionali.

 

In particolare da parte di quegli ambiti, non solo americani, che hanno immaginato il XXI secolo come un mondo unipolare (e gli Stati Uniti come il gendarme del mondo); declinando poi tale ipotesi geopolitica in un più realistico scenario che vede un mondo multipolare nel quale però resta indiscussa la preminenza degli Stati Uniti d’America,

 

Non si tratta di chissà quali complotti  internazionali, ma della logica conseguenza di quanto accaduto dopo il crollo dell’Unione sovietica, che ha visto l’espandersi dell’influenza degli Stati Uniti, non più limitata dallo storico antagonista, a livello globale (favorita in questo dalla globalizzazione).

 

Si è stabilito così un nuovo equilibrio (anche se negli ultimi anni di equilibrio se n’è visto ben poco) e un nuovo potere mondiale, che la rinascita della Russia come superpotenza metterebbe in discussione.

 

Ma il potere, si sa, è conservativo, nel caso specifico neo-conservativo. E tale possibilità è percepita come una sfida alla quale reagire. Consapevole di questo, ieri Putin ha annunciato una svolta storica: la Russia deve riconsiderare la sua visione di sicurezza nazionale, ponendo fine all’«ermetismo russo rispetto al mondo», il che implica una politica estera più attiva. In altre parole la Russia si appresta ad abbandonare la dimensione euro-asiatica per assumere i connotati di una potenza globale.

Il mondo cambia e la guerra siriana sembra essere il catalizzatore di tale cambiamento. Anche per questo è tanto difficile risolverla.

 

 

 

 

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