25 Giugno 2014

Calcio marcio

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Ognuno è Ct a casa sua, quindi vado. L’uscita con scorno dell’Italia al mondiale era invero alquanto prevedibile. Checco Zalone, in un’intervista aveva pronosticato il terzo posto, ma nel girone. Nel suo piccolo ci aveva preso (e anche noi). Purtroppo non ci voleva molto, ché la nazionale è lo specchio del calcio marcio che è diventato sistema in Italia. Prendersela con l’arbitro e gli arbitraggi, questo il succo di alcune, invero poche, analisi dei giornali, è esercizio inutile quanto sanzionato durante il campionato di calcio nazionale. Anzitutto perché ci sono stati errori anche a favore dell’Italia, basti pensare al rigore sacrosanto per la Costa Rica non fischiato e che per una sorta di giustizia divina – questo il significato dell’indice levato al cielo del Ct costaricense dopo il goal – non ci ha consegnato un immeritato pareggio; ma anche ad alcune defaillance nel corso della partita di ieri a nostro favore – l’intervento su Cavani era da rigore. Ma soprattutto perché se in due partite si fa una sola azione da goal, penosamente ciabattata dal mesto Balotelli, qualcosa, anzi tutto non va. La scusa del caldo è risibile: facevano 25 gradi ieri, come ad aprile a Roma, e gli uruguagi correvano come gli italiani…

No, il problema è il gioco. Doveva essere una nazionale che costruiva gioco, fantasiosa, briosa e ha prodotto nulla. Al confronto le gloriose nazionali del passato, quelle sulle quali inveisce la narrativa corrente perché votate al catenaccio, erano calcio spettacolo. E dire che il catenaccio, oggi così vilipeso, ci ha anche guadagnato un mondiale indimenticabile come quello dell’82 (quel catenaccio che, tra l’altro, ha permesso al Real Madrid di vincere la Champions… lo abbiamo insegnato al mondo). Non per esaltare quello schema difensivo, ma per dire che certe demonizzazioni del passato sono solo fumisterie per coprire l’odierna vacuità.

Calcio marcio perché questa squadra nasce ed è espressione di un sistema chiuso. Basti pensare che l’unico giocatore di calcio italiano che ha calcato le scene di questo mondiale, quel Verratti del quale si conosce, e bene, il talento, è approdato alla nazionale solo perché si è fatto male tal Montolivo, eterna promessa del calcio italiano mai realizzata. Era stato escluso a priori (e con il Costa Rica, la partita decisiva, non ha giocato). Come erano stati esclusi altri. Divertiamoci a fare nomi, lo fanno in tanti: Beppe Rossi, scartato perché (forse) non in piena forma: val la pena ricordare che nel 2006 Totti giocò un mondiale con una gamba sola, segnando, tra le altre cose, il rigore decisivo con l’Australia. Tra l’altro è da capire perché i suoi parenti insistevano sulla possibilità di recupero, non esclusa neanche dallo staff medico della nazionale se è stato convocato tra i trenta possibili (se il suo impiego è impossibile, non lo convochi nemmeno). Mattia Destro, che aveva iniziato a segnare a ogni partita prima che una strana sentenza dei giudici sportivi (una regola ad hoc, mai applicata in passato) lo eliminasse dalla nazionale in base a un presunto codice etico che ha risparmiato invece Chiellini, colpevole di analogo fallo. Su quest’ultimo non infieriamo, ma riportiamo quanto scritto da Gabriele Romagnoli sulla Repubblica di oggi: «Se fai un’eccezione alle tue regole per lui, la dea della giustizia ti punisce, consegnandoti per tre partite a uno dei difensori più fallosi, rischiosi e fuori forma visti in Brasile». Ma la vicenda di Mattia Destro sta chiusa nel mistero di una convocazione che ha escluso dai convocati la squadra arrivata seconda nel campionato, caso unico al mondo (eccezione Daniele De lRossi che non poteva non essere convocato stante l’anzianità di servizio). Premiati invece giocatori di squadre arrivate nelle lontane retrovie. Tra questi Mario Balotelli, uno dei quattro convocati (compreso Montolivo) del Milan, la squadra italiana più titolata a livello internazionale ma che vive un periodo di mesta transizione, al quale è stato appaltato il reparto offensivo: bastava chiedere a un qualsiasi tifoso rossonero la reale consistenza del giocatore per sapere cosa avrebbe fatto ai mondiali.

E invece nulla di nulla: Supermario viene da anni incensato dai giornali (e oggi è capro espiatorio), come anche i tanti figuranti apparsi in questi giorni che hanno infangato la gloriosa divisa azzurra, onusta di ben altre glorie. Dopo la vittoria di Italia – Inghilterra (un’Inghilterra inguardabile, ci avrebbe vinto anche il Cesena) dei bolsi vacanzieri erano stati presentati dai media alla stregua di campioni del mondo. Tra questi Marchisio, portato ai mondiali dopo una stagione nella quale ha visto più panchina che erba e che ieri ha fatto il fallo da espulsione, che a detta di alcuni non c’era, ma l’entrata con i tacchetti purtroppo c’era, come anche il rischio, risultato reale, di essere sanzionato dall’arbitro appostato a due passi: un calciatore di esperienza sa evitare alla sua squadra pericoli simili, soprattutto in partite che valgono una vita.

Mondo chiuso, si è detto, capace solo di incensare alcuni giocatori perché vanno di moda o perché così deve essere, obliterando chi al pallone sa giocare (ho fatto due nomi, ma se ne potrebbero fare tanti altri, come ben sanno i tanti tifosi italiani traditi anzitutto al momento delle convocazioni). Che è riuscito a esaltare il cosiddetto blocco-juve, dimenticando che all’estero quest’anno la Juve ha fatto disastri (non me ne vogliano i miei tanti amici juventini, lo rammento per cronaca). Mondo chiuso al punto da non vedere che tra i pochi giocatori di calcio che ha prodotto il nostro vivaio sono i ragazzi di Zeman, da Verratti a Immobile (buttato dentro all’ultima spiaggia, consegnato a una missione impossibile) a Insigne. Quel Zeman che è stato emarginato da ogni dove, con i giornalisti pronti a sottolinearne il minimo errore (ne fa anche lui) e che oggi ha ritrovato, dopo altro lungo esilio, lo strapuntino di Cagliari. Uomo che ha insegnato calcio e che scalda i cuori di tifoserie avverse.

Un mondo marcio che si riempie la bocca di etica e difende a spada tratta i tanti calciatori, allenatori e società che incappano nelle inchieste giudiziarie prodotte dalla magistratura ordinaria che la giustizia sportiva insegue sempre, incapace di vedere da sola certe storture (d’altronde la giustizia è cieca…), per emettere poi sanzioni dosate con il contagocce. E che non sa più produrre calcio, ma dà al contempo lezioni morali. E dire che abbiamo vinto un mondiale storico grazie a tante cose, ad esempio a un difensore come Claudio Gentile, che strappava le maglie a campioni come Zico e Maradona. O alle perdite di tempo di Oriali nella finale con la Germania. Il codice etico di cui simbolo è stato Cesare Prandelli, osannato anche al momento delle dimissioni, in particolare per le frasi a effetto sul fatto di non voler pesare sui contribuenti, ai quali dovrebbe invece restituire i proficui emolumenti fin qui percepiti per condurre una squadra al disastro che nemmeno un allenatore di serie B.

Eppure oggi sul Corriere della Sera Beppe Severgnini, uno dei tanti cantori del sistema, ha tranquillizzato tutti: nessun problema, solo un errore momentaneo, si vince e si perde. Non un articolo in cronaca sportiva, ma l’editoriale del giornale più importante d’Italia. Il sistema calcio marcio si autoriproduce, si autoalimenta, pronto a sanzionare errori altrui, non tiene conto dei propri errori per riformarsi. Impossibile dall’interno, troppi interessi, soldi, potere. Servirebbe una “intrusione” esterna. Difficile, se non impossibile.

 

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