24 Settembre 2013

Dal Minnesota al Kenya la Jihad che viene dagli Usa

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È finito l’incubo che ha tenuto sotto scacco il Kenya e il mondo per giorni: il mall Westgate shopping center di Nairobi, da due giorni in mano ai terroristi somali, è stato preso d’assalto dalle forze speciali e liberato, anche se si fruga nei più riposti angoli per evitare brutte sorprese. Circa settanta le vittime di questo assalto terroristico, che invece delle solite bombe si è svolto con il metodo dell’incursione armata, una modalità che ricorda quanto avvenuto a Mumbai nel 2011. L’obbiettivo, in questo genere di attacchi, non è solo lo shock, ma provocare uno stato di tensione prolungato, grazie al sequestro di ostaggi che obbliga a una reazione ragionata. 

Ha fatto il giro del mondo la notizia che gran parte degli assalitori fossero stranieri, molti dei quali americani, del Minnesota per la precisione, Stato Usa nel quale si è scoperto un apparato di reclutamento jihadista.

Strano mondo quello attuale, dove al massimo della intrusione nella privacy, sostenuta da ragioni di sicurezza, corrisponde il massimo della libertà del terrorismo di reclutare, addestrare e operare. È il caso dei nuovi capi del network terroristico internazionale: di tanto in tanto appaiono su giornali e web i loro ritratti, con tanto di biografie più o meno efferate: per gli shebab si parla dell’imprendibile Godane (sorta di Godot la cui cattura è da lungo tempo attesa), per Al Qaeda – la ditta principale del network – di tal Ayman al Zawahiri, medico egiziano capace di sfuggire alla caccia di tutti i servizi segreti del mondo, nonostante questi siano in grado di penetrare nei computer, intercettare mail in tutto il mondo e via dicendo.

Ombre impalpabili che vivono nel web e di web, fantasmi. Viene il dubbio che esistano realmente e non siano qualcosa di simile alla definizione che Lucia Annunziata diede di Osama Bin Laden: un marchio, come la Coca cola.

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