26 Febbraio 2013

Grillo boom, Parlamento bloccato

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Come previsto, il centrosinistra ha vinto, anche se la vittoria ha il sapore di una sconfitta. Perde voti, va in affanno e, alla fine, ha una maggioranza talmente risicata che non potrà governare senza un accordo o con i grillini o con il centrodestra. Accordo che può non essere necessariamente un patto di governo. La storia repubblicana è ricca in questo senso: dal governo che si regge sull’astensione dell’opposizione, ai governi balneari e, perché no, anche l’ultimo governo tecnico che poi tecnico non è stato affatto, dal momento che aveva una linea politica ben precisa, quella dettata dalle banche e dalla grande finanza. Ha vinto Berlusconi che ha dimostrato di essere l’anima del centrodestra, riportando uno schieramento ormai alle corde sull’orlo di una incredibile vittoria.

Ha vinto Grillo, ma anche questo si sapeva. C’era solo da capire in che proporzioni. Populismo, è stata l’accusa che Bersani ha lanciato più volte in direzione del movimento cinque stelle. Sbagliando perché quello di Grillo non è solo un movimento di protesta, ma di speranze. Il problema che si pone ora per questo movimento è di dare risposte alle attese: e questo passa per un coinvolgimento, a vario titolo, nella politica attiva. Grillo spera di procrastinare il momento a una successiva tornata elettorale, quando immagina di poter raccogliere i frutti di una opposizione a un eventuale governo destra-sinistra per arrivare, alle prossime elezioni, a guidare il Paese (lui o chi per lui). Almeno questo nelle prime dichiarazioni, ma è ancora presto. Certo è che non si può guidare un Paese rifiutando il confronto con altri partiti, che pure rappresentano una parte del popolo italiano, come ha fatto finora. Si rischia l’auto-referenzialità e danni alla governabilità. Ma l’uomo ha dato finora prova di certa intelligenza, vedremo.

Cantano vittoria nel centrodestra e questo è alquanto incomprensibile. Se c’è un vincente è quel Silvio Berlusconi che proprio il centrodestra ha tentato di giubilare in tutti i modi per tentare altre avventure in solitaria. Tant’è.

Tutti indicano un unico vero perdente: Mario Monti, al quale è andato male anche l’ultimo sogno: essere il dominus, o almeno il partner privilegiato, di un governo di centro-sinistra. Doveva essere il nuovo che avanza, candidandosi, di fatto, a guidare il centrodestra per governare l’Italia nei prossimi anni. Infatti, al momento di candidarsi, il centrodestra era allo sfascio, intento a defenestrare il Cavaliere per cercare sponde al centro. Il tentativo non è riuscito solo perché Berlusconi è tornato a calcare le scene del teatro politico italiano, incentrando la sua campagna elettorale sull’iniquità dell’Imu, provvedimento tanto caro all’ex rettore della Bocconi, tanto inviso agli italiani. Con lui perdono Fini, che dopo un ventennio sparisce dall’orizzonte della politica italiana, e Casini, che pure aveva accarezzato l’idea di ascendere al Colle. Perde anche Riccardi, vero dominus dell’operazione Monti, che ha trascinato in questa avventura politica strana e disastrosa il movimento di sant’Egidio. Infine, e non ultimo, perde Montezemolo, che da un decennio con il suo tink tank Italia futura è protagonista di sferzate alla classe politica italiana e sedicente portatore sano di ricette in grado di salvare l’Italia. Evidentemente il Paese non gradisce le sue ricette.

Perde anche Ingroia, che dopo aver distrutto l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, portandola sulle secche di una sterile (e inutile ai fini dell’accertamento della verità) polemica contro il Capo dello Stato, riesce a distruggere la residua presenza della sinistra italiana, che, in questo momento di crisi, avrebbe potuto incalzare il governo sui problemi del lavoro.

Resta una situazione complessa per la governabilità: se Grillo persevera nella strada dell’auto-esclusione, non c’è che la strada del governo di unità nazionale. Un governo comune destra-sinistra, più o meno limitato nel tempo e nella operatività. Se Bersani saprà accettarlo (Berlusconi non ha questo problema), sarà un bene per l’Italia. Anche perché porrebbe fine a decenni di odio che non hanno eguali nella prima Repubblica, dove i partiti (molto più distanti di Pd e Pdl nella visione del mondo) riuscivano a intessere rapporti fecondi pur nelle grandi diversità. Non si tratta di trovare empatie, ma di riuscire a traghettare l’Italia fuori da acque tempestose. È l’unica alternativa a un ritorno anticipato alle urne che per l’Italia sarebbe un precipitare nel baratro insieme alla Grecia.

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