21 Luglio 2015

Il nuovo inizio dell'Avana

Il nuovo inizio dell'Avana
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«”Questa è un’altra dimostrazione che non dobbiamo essere imprigionati dal passato”. Con queste parole, in una nota, la Casa Bianca ha salutato ieri il nuovo passo in direzione della piena normalizzazione delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti, ovvero la riapertura ufficiale delle rispettive ambasciate. Questo passo è infatti “il risultato di un dialogo rispettoso tra gli Stati Uniti e la Repubblica di Cuba dopo gli annunci del 17 dicembre del presidente Obama e del presidente Raul Castro di ristabilire le relazioni diplomatiche tra le nostre due Nazioni”, si legge ancora nella nota della Casa Bianca». Così sull’Osservatore romano del 22 luglio. L’ambasciata Usa all’Avana sarà riaperta il prossimo 14 agosto, in occasione della visita del Segretario di Stato John Kerry.

 

Giustamente nella nota Usa si legge che si tratta di un «passo storico», che chiude decenni di tensioni. Resta ancora l’embargo verso l’isola caraibica, del quale dovrà occuparsi il Congresso: la materia sarà contrastata (un contrasto di facciata – politico – più che reale), ma la revoca sembra a portata di mano. E resta la questione di Guantanamo, regione cubana ma degli Stati Uniti d’America. In piccolo, mutatis mutandis, un po’ quel che accade per la Crimea con l’Ucraina, oggi della Russia – anche se fino al ’54 questa era russa, mentre Guantanamo è sempre stata cubana.

 

Quella bandiera issata su suolo americano è «bandiera d’orgoglio e d’indipendenza non celebra affatto una sconfitta», ha scritto giustamente Mimmo Cándito sulla Stampa del 21 luglio. Vero, come è vero che a vincere è anche Obama, che dopo l’accordo sul nucleare porta a casa un altro successo diplomatico contro tanta opposizione interna e internazionale.

 

Un compromesso quindi che è anche una vittoria, dove vincono tutti, ma anzitutto il popolo cubano che può tirare un sospiro di sollievo in attesa che la sospirata pace porti un po’ di prosperità e un cambio ulteriore nella politica isolana, dopo i primi passi compiuti dal governo di Rául Castro (sarà inevitabile, ma con tempi e modi difficili da immaginare).

 

Vincono anche gli esuli cubani, che per anni, dalla Florida, hanno sperato (e tentato di favorire attivamente) un cambio di regime all’Avana, condizione che sembrava essenziale per il loro ritorno in patria. Ma che negli ultimi anni sono stati i più fervidi sostenitori di un appeasement tra i due contendenti, stanchi di attendere invano (a parte i soliti engagé, ovviamente, che ancora non si rassegnano)

 

Ha vinto la Chiesa cubana che ha saputo sfruttare la storica visita di papa Wojtyla nell’isola per intraprendere un dialogo nuovo con il potere, ponendo fine a un confronto che alla lunga era diventato sterile e nocivo per tutti (lezione da imparare). Ha saputo guadagnarsi spazi di libertà, ha saputo interloquire – con rigore e intelligenza – con il regime, favorendo a volte lo sblocco di situazioni critiche.

 

Il mondo si è aperto a Cuba e Cuba si è aperta al mondo, come auspicò Wojtyla in quella che forse è risultata la più felice missione – in senso cristiano – del suo Pontificato. Uno slogan ripreso con speranza e vigore da papa Ratzinger, che pure visitò l’isola in tempi meno faticosi. Oggi che Papa è Francesco quell’antica speranza, conservata nei cuori da tanti, suona avverata profezia.

Il fatto che l’annuncio di questo nuovo inizio tra Cuba e Stati Uniti sia stato dato il 17 dicembre, compleanno del papa regnante, non ha forse un valore simbolico, ma certo ha un suo piccolo significato.

 

La fine di questa contesa può portare frutti di pace anche in altri scenari, anzitutto quello colombiano, dove il governo e le Farc stanno da tempo portando avanti una trattativa per porre fine alla lunga e sanguinosa guerra civile che sta martoriando il Paese. Una trattativa che vede proprio in Cuba il principale mediatore tra le parti. E forse potrebbe aiutare ad attutire il contrasto tra Usa e Venezuela, stante i buoni rapporti tra il governo chavista di Maduro e l’Avana.

 

Insomma questo nuovo inizio caraibico ha un valore più alto che non solo quello politico. Qualcosa di metapolitico (o metafisico se si preferisce). Questo povero mondo, scosso dai deliri dei terrorismi vari, ha bisogno di speranza. L’accordo tra Washington e l’Avana ne ha regalata una. Non si può che ringraziare.

 

Nella foto, la storica stretta di mano tra Barack Obama e Rául Castro ai funerali di Nelson Mandela

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