Il Quirinale, Fassina e l'asse del Nazareno
Tempo di lettura: 3 minutiNon è un bello spettacolo quello cui si sta assistendo in questi giorni nel teatro politico italiano. Con il Quirinale in sede vacante il governo sta forzando la mano sulle riforme, nel tentativo di portarle a termine prima che si insedi il prossimo Capo dello Stato. Un affanno che appare fuori luogo, forse dettato dalla paura che il prossimo inquilino del Colle possa in qualche modo porre ostacoli o modificare l’impianto legislativo partorito dai riformatori.
Colpisce anche un altro dato. In molti – e anche noi nel nostro piccolo – si sono dilettati nel facile esercizio di ridicolizzare gli attuali riformatori della Costituzione ponendo un irriverente confronto con i padri costituenti di un tempo ormai passato. Il lavoro ponderoso e ponderato di allora con l’attuale agitata confusione.
Ma c’è altro e più importante da evidenziare: il processo costituente ebbe a fondamento la convergenza dei diversi e la ricerca faticosa ed elaborata di un compromesso generale. La riforma attuale è altro: non cerca larghe convergenze né si affida a mediazioni, avendo come fondamento l’imposizione ai diversi – al di là di possibili modifiche obbligate dai rapporti di forza – della riforma elaborata nel chiuso del cenacolo del Nazareno.
Un’apparente contraddizione per un patto che dovrebbe essere fondato proprio sull’idea di compromesso (in realtà non lo è, stante la condizione debolissima di Silvio Berlusconi). Non una differenza da poco: se quella Costituzione creava un impianto istituzionale dove le diverse forze politiche erano obbligate alla ricerca del compromesso e proprio per questo poneva un argine a possibili derive autoritarie, oggi è qualcosa di diverso e un po’ preoccupante.
Il fatto che l’agitazione riformistica vada a intrecciarsi con la prossima elezione del Capo dello Stato pone un ulteriore problema, dal momento che la riforma rischia di diventare oggetto di mercato – e di scambio – nell’ambito dell’elezione del Colle e viceversa. Un’indebita commistione che sarebbe stato saggio evitare. Ma di saggezza non se ne vede molta in giro in Italia, sia a livello politico che culturale.
Non ci addentriamo nel toto-nomi riguardo al Quirinale, abbiamo già dato, accennando alle difficoltà di previsione e spiegando come, ad oggi, le candidature più forti restano quelle della scorsa tornata, ovvero Giuliano Amato o Gianni Letta, espressioni del patto del Nazareno, e Romano Prodi. Le eventuali varianti sono date, e forse risulteranno vincenti, da compromessi che nasceranno all’interno di questo scontro più alto (e di prospettive diverse per l’Italia). Così snocciolare nomi è esercizio inutile, mentre val la pena segnalare due novità.
La prima è che Giorgio Napolitano sembra intenzionato a partecipare al gioco. D’altronde già le sue dimissioni anticipate sono state un fatto politico di prima rilevanza, impedendo di fatto a Renzi di andare a elezioni a riforma finita, vincerle (più o meno agevolmente) spazzando via la minoranza dissidente del Pd, e posare agevolmente sul Colle una figura a lui gradita.
Dopo le sue dimissioni, iscrivendosi al gruppo misto e non al Pd, Napolitano ha fatto una scelta di distacco dal suo partito in qualche modo obbligata dalle circostanze. Ma molti hanno interpretato tale scelta anche come una presa di distanze dall’ex sindaco di Firenze. Le sue carte per il Quirinale, se conserva ancora una qualche influenza, Re Giorgio le giocherà in piena libertà.
E ancora. È di oggi la dichiarazione di Stefano Fassina, deputato della minoranza del Pd, che ha rimandato al mittente, cioè Renzi, le accuse di infedeltà alla linea del partito affermando: «Non è un segreto, sei stato tu a capo dei 101 che due anni fa hanno affossato Prodi». Il riferimento è ai franchi tiratori che nel chiuso dell’urna non votarono il candidato proposto dal segretario del Pd.
Ovviamente l’accusato e i suoi smentiscono. Ma Renzi purtroppo ha troppe volte negato la realtà – l’ultima volta con la gaffes sulla recente norma salva-Berlusconi – perché le sue smentite possano avere un peso meno “politico” di quel che appaiono. Né suonano meno “politiche” altre e più autorevoli smentite volte a non rompere definitivamente l’unità del partito.
D’altronde quello rivelato da Fassina è una sorta di segreto di pulcinella (nel nostro piccolo lo ipotizzammo e ne scrivemmo, allora). Se ne scriviamo oggi, però, non è tanto per soffermarci su una diatriba riguardante fedeltà o infedeltà pregresse o presenti all’interno del Pd, ma per altro: da oggi per Renzi lavorare nel segreto contro Prodi – pubblicamente non può farlo – risulterà un po’ più difficile. Da qui l’importanza di questa rivelazione in vista della prossima elezione del Capo dello Stato.
Così se l’asse del Nazareno conserva ancora molte chanches di vittoria, come segnalano le numerose vittorie sul campo di battaglia delle riforme, la dichiarazione di Fassina suona anche come un segnale in altra direzione: un modo per dire che certo mondo non si è ancora arreso. Né all’asse del Nazareno, proprio perché alieno da un’idea di compromesso politico, sembrano bastare le tante vittorie inanellate sul piano delle riforme, forse nel timore che queste possano risultare inutili al fine di una vittoria finale. E la battaglia finale di questa guerra, o almeno di una fase importante di questa guerra, si svolgerà sul Colle più alto.