Isis: la linea del fronte
Tempo di lettura: 3 minutiUno dei modi per non perdere è quello di far saltare il banco. Questa la spiegazione dei tragici fatti di Parigi.
Già, perché prima della strage transalpina le Agenzie del terrore avevano la consapevolezza che stavano per perdere la partita. Incalzate dai bombardamenti russi e dalle truppe di terra di Assad in Siria, stanno perdendo terreno, arrancano, sono messi alle corde. Stessa sorte in Iraq, dove gli americani, sotto la spinta dei successi russi, hanno iniziato a fare qualcosina (dopo un anno e mezzo di inani raid), consentendo alle truppe di terra irachene e curde di ottenere successi finora insperati.
Non solo uno scacco a livello militare: a Vienna, l’amministrazione Usa e il Cremlino hanno costretto i rappresentati dei Paesi protagonisti del mattatoio siriano, da loro alimentato in varie forme, a sedersi attorno a un tavolo per porre fine a una guerra che è diventata il cuore pulsante del terrorismo jihadista.
Un vertice che ha prodotto una road map che prevede l’indizione di un cessate il fuoco (dal quale sono escluse le formazioni terroristiche), la creazione di una Costituzione, l’avvio di un negoziato tra governo e opposizioni sotto l’egida dell’Onu e lo svolgimento di libere elezioni. Una road map affatto generica, dal momento che ai vari processi è stata data una tempistica precisa e impegnativa.
È l’avvio, per quanto titubante e incerto, di un processo politico che mette ancora più freni all’azione di Daesh (nome arabo del cosiddetto Califfato).
Da qui nasce il rilancio dell’Isis: il mattatoio parigino serve appunto a far saltare i negoziati in corso, forzare l’Occidente e i suoi alleati a una reazione militare sconsiderata che alimenti il caos nel mondo islamico così da trovare nuovi spazi di azione.
Sul punto basta ricordare il recente mea culpa di Tony Blair, il quale ha affermato che la guerra in Iraq, causando una immane destabilizzazione nel mondo arabo, ha favorito il dilagare dello jihadismo internazionale, Isis compreso.
Le agenzie del terrore ne sono ben consapevoli, per questo vogliono alimentare al parossismo tale conflitto che, producendo altro odio e disperazione nel mondo arabo (e islamico in genere), gli regali nuovo consenso nel mondo islamico (del quale sono fenomeno marginale quanto tanto spesso inviso) e nuove masse di potenziali affiliati.
L’unica alternativa realista, invece, che può produrre risultati di segno opposto, è, appunto, un processo di stabilizzazione in Siria e Iraq che, accanto al contrasto militare della follia jihadista, ne prosciughi il brodo di coltura. E questo può essere dato solo da un compromesso politico tra quanti finora hanno alimentato questa sporca guerra per procura, usando dei miliziani jihadisti per perseguire più o meno oscuri obiettivi geopolitici.
È ciò che si sta tentando a Vienna, è il senso del (fragile) patto anti-Isis che Putin e Obama hanno siglato ad Antalya, a margine del vertice del G20.
Il problema è che tale accordo presuppone un compromesso tra Occidente e Russia, proprio quel che tanti ambiti neocon, gli stessi che spingono per un confronto globale con l’islam, hanno in odio, dal momento che consentirebbe a Mosca di uscire dall’angolo nel quale tentano di relegarla.
Ironia dei compromessi: se quello tra Russia e Washington suscita scandalo (più o meno malcelato), non suscitano altrettanto scandalo i tanti compromessi che hanno permesso all’Isis di costituire una minaccia globale: tra questi (non certo i più oscuri) il sostegno della Turchia e dei Paesi del Golfo ai miliziani jihadisti che hanno portato l’orrore nel mondo arabo e in Occidente.
La partita è appena iniziata. Le Agenzie del terrore tenteranno altri colpi per provare a forzare la mano. A loro volta i bellicosi neocon tenteranno di usare della nuova opportunità fornita loro dall’Isis per riguadagnare quello spazio che negli ultimi anni gli è stato ristretto.
Ci saranno altre vittime innocenti di questa guerra a geometria variabile, in Europa come in Siria (così al commovente hashtag Pray for Paris piace accostare quello suggerito da un’amica: Pray for Syria).
Ma non hanno ancora vinto. Quell’incontro tra Putin e Obama al G20, pur nella sua fragilità, lo dimostra, in particolare perché impensabile solo una settimana fa.
Durerà tempo, questa guerra, e l’esito è incerto: ma la prima battaglia da vincere è quella contro l’odio, quello che le centrali del terrore tentano di seminare a piene mani nel mondo islamico come in quello occidentale, usando delle stragi e delle loro disumane perversioni. La linea del fronte attraversa il cuore di ognuno di noi.