Kiev all'assalto dei palazzi del potere 200 mila in piazza contro Yanukovich "È la nuova rivoluzione arancione"
Tempo di lettura: 3 minutiA Kiev la gente scende in piazza per protestare contro il governo e contro Putin, accusato di aver costretto il presidente Yanukovich a dire no all’ingresso in Europa. Al di là degli scontri di piazza, nei quali la polizia ha dato segno di moderazione rispetto alla durezza della reazione di venerdì scorso, l’imponenza della folla permette di dire agli organizzatori che siamo all’inizio di una nuova svolta, come accadde al tempo della rivoluzione arancione. È possibile, anche se da allora tante cose sono cambiate e non in bene per gli “arancioni”. Tra l’altro, a sostegno della manifestazione, un’attivista di Femen ha protestato denudandosi all’interno del territorio della Pecherska Lavra, uno dei monasteri più antichi e densi di storia cristiana di Kiev. Non meraviglia, dal momento che dai tempi delle Pussy Riot, con il loro sabba ballato sull’altare della cattedrale di Cristo Salvatore, certe manifestazioni anti-Putin hanno preso una deriva anti-religiosa, per non dire satanica, alquanto evidente. Cosa c’entri questo con la libertà e la democrazia, è incerto, ma tant’è.
Il braccio di ferro è destinato a durare, mentre Putin e il presidente Yanukovich cercano una via di uscita tentando di mettere in campo un dialogo a tre con l’Unione europea. Putin potrebbe al limite permettersi che l’Ucraina entri nell’orbita Ue, anzi da questo punto di vista, se il gioco politico interno alla ex repubblica sovietica lo consentisse, potrebbe diventare un utile ponte tra i due mondi. Ma non può affatto permettersi che entri nella Nato, punto sul quale nessuno degli oppositori e dei loro sostenitori esteri sembra poter dare rassicurazioni realistiche. Per il presidente russo la crisi ucraina è un problema serio. Se l’Ucraina aderisse alla Nato, la Russia sarebbe costretta a dissanguare le proprie risorse per installare nuovi sistemi difensivi, che tra l’altro risulterebbero alquanto inefficaci.
La nuova crisi geopolitica intacca non poco quel tesoro di credibilità diplomatica che Putin si era guadagnato dopo aver evitato l’intervento occidentale in Siria che, tra l’altro, gli ha spalancato le porte del Vaticano il 25 novembre scorso.
Ma al di là degli sviluppi, affidati ai dialoghi trilaterali Ucraina, Russia, Europa, colpisce questa levata di scudi per entrare in Europa da parte delle folle ucraine. L’Europa sta dando pessima prova di sé in questi ultimi anni, in particolare strangolando le economie più fragili, producendo povertà e instabilità. Non si capisce come potrebbe l’Ucraina esser trattata diversamente dalla tecnocrazia di Bruxelles, mentre un distacco netto dalla Russia, dalla quale dipende gran parte della sua economia, la farebbe precipitare nell’abisso. Se davvero questa politica di inclusione fosse portata avanti, è facile intuirne le conseguenze: l’Europa dovrà in qualche modo sostenere il nuovo Stato con ingenti aiuti finanziari, dirottando verso l’Ucraina parte dei finanziamenti che dovrebbe destinare ai Paesi del Sud Europa, deprimendone ancora di più le economie. Il paradosso è che, nonostante il dirottamento di risorse, l’Ue non riuscirebbe comunque a compensare il sostegno moscovita, condannando l’Ucraina alla fame. Questo al di là della retorica e delle bandiere inneggianti a democrazia e libertà, che in questi ultimi anni hanno garrito anche in altre zone del mondo, con esiti alquanto infausti (vedi Iraq, Siria, Libia, Egitto etc…).
Una nota a margine merita la visita di Vladimir Putin in Vaticano alla quale abbiamo accennato. Una visita definita storica, dal momento che può favorire un riavvicinamento tra Chiesa cattolica e ortodossa dopo mille anni di distanze. Non che siano secondarie le controversie dottrinali tra i due polmoni della cristianità, ma a volte, è stato evidente durante il Pontificato di Wojtyla, diffidenze di natura diversa avevano posto ostacoli insormontabili a un dialogo sereno. Incontro importante, quindi, quello avvenuto pochi giorni fa a San Pietro, anche se una tempistica infelice delle cose vaticane ne ha offuscato il valore. La visita si è svolta lo stesso giorno nel quale è stata resa pubblica l’esortazione apostolica del Papa Evangelii Gaudium. Così, di fatto, quella presentazione ha oscurato il valore dell’incontro, a tratti commovente – il bacio dell’icona della Madonna di Vladimir da parte dei due interlocutori -, incentrando il focus vaticano su altro. Non si vuol sminuire l’importanza del documento del Papa, sorta di enciclica programmatica, ma certo il riavvicinamento con l’Ortodossia ha un valore immensamente più importante di un qualsiasi documento pontificio, al di là del suo valore intrinseco (che tra l’altro abbiamo accennato anche su questo sito). Così l’effetto della tempistica vaticana, a prescindere dalla buona volontà dei collaboratori del Papa semplicemente ansiosi di presentare al mondo il nuovo documento, ha fatto sì che quell’incontro sia stato obliterato in breve tempo, derubricato a fatto del passato già il giorno successivo.