29 Luglio 2015

La Grecia e la nuova sovranità della finanza mondiale

La Grecia e la nuova sovranità della finanza mondiale
Tempo di lettura: 4 minuti

In un’analisi pubblicata sulla Repubblica del 28 luglio, a firma di Gustavo Zagrebelski (La tragedia greca e la sovranità spodestata), si legge: «S’è detto, con una certa superficialità: niente di sconvolgente. La Grecia, come tutti i Paesi dell’Unione Europea, ha da tempo accettato limiti alla sua sovranità a favore dell’Europa. La prova cui è sottoposta la Grecia sarebbe perciò una vittoria dell’Europa».

 

Un’assurdità, secondo il costituzionalista. Se è vero che la trattativa si è svolta a Bruxelles, e vi hanno preso parte rappresentati di Stati europei (e organismi internazionali), di fronte alla Grecia non c’era l’Europa, «ma la finanza che si fa beffe di formalità e competenze codificate. Chi, in Europa, ha preso decisioni non ha agito “in quanto Europa”, ma in quanto rappresentante di interessi finanziari […] La “troika”, che ora ritorna in Grecia come commissaria ad acta, non è organo dell’Europa, è organo de facto degli interessi finanziari che s’intrecciano tra Commissione europea, Bce e Fmi. L’Europa come tale è stata totalmente assente. La condizione della Grecia non è quella di chi si è vista limitare la sovranità perché l’ha ceduta: è quella di chi ha subito il colpo d’un sovrano di tutt’altra specie — che qualcuno ha definito “colonialista finanziario” — con tante teste».

 

E ancora: «Pecunia regina mundi», infatti la finanza «come lo spirito, soffia dove vuole, irresponsabile di fronte alle comunità umane su cui scarica la sua forza, investendo o disinvestendo risorse, senz’altra guida se non l’accrescimento della sua potenza. Agli Stati indebitati e insolventi si può rimproverare il loro spirito di cicale. Ma il potere finanziario, nel suo insieme, vive di indebitamenti e accreditamenti ed è perciò amico delle cicale. Senza cicale e solo con formiche non potrebbe esistere. Onde, è vuoto moralismo il rimprovero d’essersi indebitati, quando proprio i creditori sono interessati al loro indebitamento. In secondo luogo, l’erosione della sovranità è la resa alla legge dei più forti. La sorte dei popoli finisce per essere la risultante dello scontro di forze che hanno come obiettivo la propria autoaffermazione. L’arma è la potenza finanziaria. Chi è più ricco è destinato a diventare sempre più ricco e gli altri sempre più poveri».

 

Le considerazioni di Zagrebelsky sono in sintonia con quanto avevamo scritto. Ne accenniamo non per compiacimento personale, ma perché ci sembra che certe derive siano ormai tanto palesi quanto diffuse.  E toccano la questione nodale della controversia greca, che non è stata solo uno scontro tra la potenza tedesca e la fragilità ellenica, ma qualcosa di più ampio e globale, che ha a che fare con il destino di questo povero mondo.

 

La finanza (o usura) internazionale in Grecia ha vinto l’ennesima battaglia di questa lunga guerra e sembra regnare incontrastata su popoli e nazioni. Pare così che «l’idea di un qualche “ordine mondiale” anche solo vagamente orientato alla giustizia» sia ormai «fuori di questo mondo», scrive ancora il costituzionalista, il quale immagina una ripartenza possibile, forse, solo dopo la prossima e più profonda crisi.

 

In effetti non è difficile immaginare una prossima crisi, stante che la finanza globale è abitata da crisi sistemiche. È la contraddizione intrinseca di un sistema che si concepisce non limitato né da regole né da categorie spazio-temporali e che è fondato su una ricchezza che usa della realtà per creare ricchezze virtuali, che però impone al mondo come reali. Un circolo vizioso fatto di realtà distorta e virtualità che destina il sistema al crollo, come accaduto con le tante “bolle” scoppiate finora.

 

Una contraddizione di cui gli ambiti finanziari sono ben consci, tanto che hanno trovato un modo per gestirla, anzi per usarla per auto-alimentarsi e rafforzarsi, com’è accaduto anche nel recente passato. Stando così le cose, purtroppo anche la speranza di Zagrebelski può risultare infondata.
Ma c’è altro e più cupo. Quel che sta avvenendo in questi ultimi tempi dà l’idea che le crisi sistemiche si stanno facendo sempre più complesse e imprevedibili. Forse a causa delle tante variabili insite nella globalizzazione, forse perché la Tecnica che essa usa, necessaria per accumulare sempre di più (necessità insita in questo meccanismo finanziario), si è fatta talmente complessa da risultare ingestibile.
Così le crisi sono sempre più frequenti e più gravi, e prima o poi andranno a determinare il collasso globale del sistema. Quando avverrà non è dato di sapere, ma i tempi sono più brevi di quanto ci si possa immaginare, perché i meccanismi della finanza, grazie appunto alla Tecnica,  hanno acquisito una velocità sempre più parossistica.

 

Tutto scritto? In realtà esiste una variabile che può mutare il fosco scenario. Il mostro ormai si è disvelato in tutta la sua natura bruta. Ciò ha generato paura e sacche di resistenza (anche al di fuori dei circuiti della sinistra storica) nazionali e internazionali che, pur residuali, incontrano sempre maggior consenso tra le masse impoverite. È il caso di Syriza, colpita così duramente a monito e memento.
Ma quella greca è solo una delle tante (sanguinose) battaglie condotte dal nuovo potere per rivendicare la sua sovranità illimitata. Probabile che ne seguiranno altre. La speranza è che tali forze riescano in qualche modo a frenare o deviare le derive innescate dal nuovo sovrano mondiale, che tendono alla dissoluzione globale, sia a livello economico, come visto, sia a livello geopolitico. Come accadde per la seconda guerra mondiale dopo la crisi del ’29. Già, perché anche una guerra globale, dal punto di vista finanziario, può essere occasione di un reload totale del sistema.

Archivio Postille
6 Febbraio 2016
La crisi libica e la morte di Giulio
Archivio Postille
2 Febbraio 2016
Iowa: la vittoria di Cruz e della Clinton