La stretta di Renzi su Letta
Tempo di lettura: 2 minutiRenzi dà quindici giorni all’esecutivo: il 20 la segreteria del Pd decide il da farsi. Se cioè procedere al cambio di guardia a Palazzo Chigi, con Matteo al posto di Enrico, andare a elezioni o, ipotesi altamente improbabile, trovare una forma di convivenza tra i due duellanti. D’altronde ormai il governo Letta non gode più della fiducia della classe dirigente italiana: anche il presidente di Confindustria ne ha preso le distanze. Vedremo.
Nel frattempo il sindaco di Firenze si dà da fare e mette a punto la riforma del Senato. E c’è un senso di straniamento a leggere quanto uscito dalla mente del giovane. Sostanzialmente il Senato sarà in seguito abitato da rappresentanti delle Regioni e dei capoluoghi di regione, oltre a venti fortunati eletti dal Capo dello Stato, i quali si vedranno a Roma per discettare delle autonomie regionali. Qualcosa a metà tra una bocciofila e un circolo Pickwick all’amatriciana. Al di là della boutade sulla quale pare si sia trovata convergenza ampia (sic), è un problema anche di metodo: la struttura dello Stato italiano fu disegnata da eminenti figure della cultura e della politica, che avevano fatto la resistenza. Due anni di lavoro, di dialogo, scontro e mediazione nei quali si sono condensate dense riflessioni precedenti. Oggi a cambiare la Carta ci pensa un ragazzotto simpatico con un suo fido, tal Delrio dei quali i giornali ricordano solo che è renziano come fosse la qualifica più importante del personaggio; al simpatico duo si accoppia un ex macellaio prestato alla politica, Denis Verdini, e il Cavaliere stanco, pronto ormai a sottoscrivere qualsiasi cosa pur di non fare la fine di Craxi.
E dire che il Senato a Roma fu a lungo baluardo e presidio contro lo strapotere dell’imperatore: uno dei motivi per i quali Roma non conobbe, se non in parte, le derive dispotiche degli imperi asiatici. Farne un vacuo circolo di tressette non solo è irrispettoso della storia, ma irridente.
Nel giugno del 2013 analisti della banca Jp Morgan, forse la banca più importante del mondo, resero pubblico un documento nel quale si spiegava come fosse ora che gli Stati dell’Europa cambiassero le loro Costituzioni. Queste, infatti, sono nate a seguito della dittatura fascista e sono intrise di socialismo, prevedono esecutivi deboli e permettono troppe libertà ai lavoratori. Occorre un cambiamento, scrivevano gli analisti della Morgan, in modo che gli Stati europei possano essere governati in maniera più efficace, al modo delle aziende.
Le riforme di Renzi, quella elettorale e quella del Senato, rispondono a queste aspettative. Convergenze parallele.