31 Ottobre 2014

La Svezia riconosce lo Stato della Palestina

La Svezia riconosce lo Stato della Palestina
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«La Svezia è il primo grande Paese membro dell’Unione europea a riconoscere la Palestina come Stato. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’aveva già riconosciuto “de facto”, ma l’Ue non ha mai concesso un riconoscimento ufficiale». Così sulla Repubblica online del 30 ottobre. Una decisione che era stata annunciata dal nuovo premier svedese Stefan Loven all’inizio del suo mandato.

Durissima la reazione del governo di Tel Aviv che ha protestato contro quella che ritiene un’ingerenza indebita nei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi.

 

La notizia che il Paese del Nobel ha riconosciuto lo Stato palestinese, in sé atto storico, è stata soffocata dalla cronaca, in particolare dalla cronaca nera, dal momento che a Gerusalemme continua a salire la tensione a causa di un rinnovato scontro tra arabi e israeliani che da alcuni giorni vede i primi protestare contro la decisione di allargare la presenza ebraica in alcuni quartieri arabi della città. Una protesta duramente contrastata dalle forze di polizia. A far salire ulteriormente la tensione era stato, alcuni giorni fa, l’attentato compiuto da un estremista palestinese, che aveva travolto con la sua automobile alcuni innocenti, uccidendo una donna e una neonata. E due giorni fa, l’attentato compiuto da un altro estremista, ucciso ieri dalla polizia, il quale aveva ferito gravemente il rabbino dell’ultradestra Yehuda Glick.

 

Un clima di altissima tensione che ha portato il governo israeliano a chiudere la spianata delle Moschee a Gerusalemme, cuore della devozione islamica (anche se oggi è stata annunciata una sua parziale riapertura): una decisione mai presa in passato se non nel 2000, dopo la famosa provocazione di Ariel Sharon (come definì il ministro della Giustizia israeliano Yossi Beilin l’inopportuna visita dello stesso alla Spianata, causa della seconda intifada). E che ha portato alla durissima replica da parte del presidente palestinese Abu Mazen, il quale ha parlato di un «atto di guerra».

 

A complicare le cose il fatto che proprio in questi giorni si è scatenata un’accesa polemica tra Washington e Tel Aviv: secondo un’indiscrezione raccolta da un giornale americano l’amministrazione Obama riterrebbe Netanyahu un «codardo», ingiuria che ha scatenato le ire del premier e della stampa israeliana, non placata dalla smentita pervenuta da oltreoceano. Una rivelazione del tutto nefasta, al di là della sua veridicità (in genere i giudizi non lusinghieri espressi nel privato dai politici nei confronti dei loro colleghi non sono rivelati: ne sentiremmo delle belle) perché ha confermato agli occhi della leadership israeliana l’idea di uno Stato sotto assedio, causandone un irrigidimento ulteriore.

 

Al di là della tensione tra arabi ed ebrei in Israele e delle tensioni Usa – Israele, i cui sviluppi sono imprevedibili e speriamo non forieri di ulteriori avvitamenti, resta la decisione storica della Svezia.

Difficile dire se l’esempio del Paese scandinavo troverà un seguito in altri Stati della Ue, paura che serpeggia in Israele e ne accentua le reazioni negative. Ci limitiamo in proposito a riportare quanto ha scritto il 30 ottobre Sergio Romano sul Corriere della Sera: «Non è facile avere rapporti normali con uno Stato in cui il governo nazionale, formato in giugno, non ha dato ancora prove concrete della sua esistenza. Non è facile assumere impegni internazionali con un Paese se una parte del suo territorio è occupato da insediamenti stranieri ed è perlustrato da truppe straniere. Riconoscere la Palestina significa accettare la possibilità di frequenti e fastidiose divergenze con Israele. Credo che non tutti i Paesi europei, per il momento, siano pronti a una tale prospettiva».

 

Un’analisi prudente quella di Romano. E che però ha fondamento. Nonostante questo, nella sua lettera si legge: «Non possiamo ignorare che il partito internazionale del riconoscimento continua a crescere. I Paesi dell’Onu per cui la Palestina è uno Stato sono ormai 136 su un totale di 193». È un processo storico. Che troverà battute di arresto e contrasti anche aspri, ma sul quale occorrerà riflettere secondo i tempi e le prospettive della storia più che attraverso le ristrettezze della cronaca, fosse anche la cronaca nera. Ne è chiaro esempio l’ultima guerra di Gaza: chi immaginava che il conflitto determinasse la fine delle speranze palestinesi di ottenere uno Stato nazionale è stato smentito, perché anzi sembra aver determinato una spinta opposta, come dimostra la decisione svedese.

 

(Nella foto: 1994, Shimon Peres, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat a Stoccolma per la consegna del Nobel per la pace).

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