L'accusa di Ban Ki-moon "Usati 250 litri di Sarin"
Tempo di lettura: 3 minutiÈ stato reso pubblico il rapporto delle Nazioni Unite sulla strage del 21 agosto alla periferia di Damasco. E, come si sapeva, è stato accertato che a causare la strage è stato un gas tossico, il sarin. Gli ispettori Onu non avevano il mandato di individuare gli autori della strage, anche perché si trovavano in Siria per indagare su un altro eccidio causato dal gas, quello avvenuto nel marzo scorso, sul quale l’Onu aveva raccolto indizi che portavano dritti ai ribelli – lo aveva detto anche l’ex magistrato Carla Del Ponte in un’intervista, in quanto membro della commissione che doveva far luce su quel crimine. Insomma, una missione, quella degli ispettori, cambiata in corso d’opera e in qualche modo rabberciata – tra l’altro, il capo del Dipartimento di Stato americano, John Kerry ha anche premuto perché non avesse luogo…
Nondimeno si ha finalmente la certezza che nel luogo della strage, Goutha, è stato usato del gas, cosa che doveva essere accertata prima di procedere a qualsiasi considerazione. Detto questo, ci sono pressioni fortissime per attribuire l’uso di questi gas ad Assad. La prova principe, secondo gli accusatori di Damasco, sarebbero delle scritte in cirillico sui resti dei proiettili utilizzati per diffondere il sarin. Chiaro indizio che porta all’arsenale di Assad e ai rifornimenti russi dello stesso. Insomma, dei proiettili firmati, o griffati che dir si voglia. Così Assad, pienamente consapevole che l’uso di gas nervini avrebbe fatto scattare la reazione internazionale – come paventato da Obama nel famoso discorso della “linea rossa” invalicabile – si sarebbe cautelato di firmare i suoi proiettili…
Sul tema della responsabilità della strage di Damasco, al di là della propaganda e delle ricostruzioni di bandiera, ci limitiamo a riportare quanto ha riferito il giornalista Domenico Quirico subito dopo la sua liberazione, parlando al suo giornale, la Stampa, che di certo non ne ha distorto la testimonianza, peraltro riportata tra virgolette.
Nel suo racconto, ormai famoso, Quirico afferma che lui e l’altro prigioniero, il belga Pierre Piccinin, mentre si trovavano nelle mani dei ribelli, avevano avuto modo di origliare una conversazione tra un generale dei ribelli, un altro personaggio non identificato e un loro interlocutore che comunicava con loro tramite Skype. I tre sostenevano che la strage di Damasco era stata fatta dai ribelli con l’intento di far scattare l’intervento straniero. Particolare non secondario: i tre, riferisce Quirico, parlavano tra loro in «inglese». Evidenziamo il particolare, dal momento che gli uomini della resistenza locale e quelli di Al Qaeda accorsi in Siria da ogni angolo del mondo sono arabi. La conversazione, quindi, avrebbe dovuto svolgersi in arabo… Tanti i misteri da chiarire su quella strage; di certo la pressione della propaganda non aiuta a dilatare nebbie e sciogliere interrogativi.
Al di là degli interrogativi, resta lo stallo di una situazione che vede da una parte il raggiungimento di un accordo tra Siria e comunità internazionale per lo smaltimento delle armi chimiche siriane in cambio di uno stop all’intervento armato; dall’altra la spinta di ambiti occidentali che non si rassegnano a veder sfumare l’ipotesi di un intervento in Siria e cercano di sfruttare il nuovo rapporto Onu per spingere in questa direzione. In particolare incardinando l’accordo per lo smantellamento dell’arsenale chimico di Assad all’interno di una risoluzione Onu che preveda, in caso di inadempienza da parte di Damasco, una reazione armata. Cosa che la Russia, principale sponsor della soluzione negoziale, non potrà mai accettare, consapevole che tutta l’attenzione sarebbe centrata sulle procedure di smaltimento delle armi chimiche in attesa di un pretesto per accusare Assad e far scattare la clausola repressiva.
Insomma, si cerca di mettere la Russia in un angolo. Se questa mettesse il veto a una risoluzione siffatta, i suoi antagonisti potrebbero dire al mondo che Putin e Assad non vogliono nessun accordo e si troverebbero la via spianata per un intervento armato, avendo la possibilità di attribuire ad altri la colpa di un mancato accordo. Da parte sua, invece, la Russia, come anche diversi Paesi occidentali tra cui l’Italia, vorrebbero un accordo meno stringente per Assad, per procedere parallelamente alla realizzazione della sospirata Conferenza di pace, la cosiddetta Ginevra 2, che porti i vari contendenti siriani attorno a un tavolo.
Sono giorni di trattative frenetiche. Obama, protagonista su Abc-news di un’intervista molto possibilista riguardo la via diplomatica, è costretto a negoziare mentre il suo Paese è sprofondato nell’angoscia a causa di un nuovo eccidio: in una caserma della Us Navy, a soli 5 chilometri dalla Casa Bianca, nell’edificio del Naval Sea System Command – luogo nevralgico del sistema militare Usa – un certo Aaron Alexis, veterano della marina, ha compiuto un’azione da commandos uccidendo 12 persone e ferendone 16 prima di essere ucciso. Un «atto codardo», come ha detto Obama visibilmente provato. Il clima teso, al quale contribuisce questo attentato, non aiuta a trovare la serenità necessaria per affrontare il nodo siriano con la dovuta ragionevolezza.