12 Maggio 2014

L'Ucraina e il referendum popolare nelle province ribelli

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Il referendum della regione del Donbass alla fine si è svolto ed ha sancito, come naturale, la vittoria dei filorussi. I risultati dichiarati dai ribelli danno circa il 90% di sì. Di per sé il risultato non sancisce la secessione da Kiev delle regioni orientali dell’Ucraina perché si votava per l’autonomia (né in ballo c’è l’annessione a Mosca come avvenuto in Crimea), cosa che lascia aperte le porte a una possibile soluzione federativa. Ovviamente l’Occidente non ha riconosciuto il risultato, dichiarando illegale questa consultazione. Anche se la legalità nel campo del diritto internazionale, in questi ultimi tempi, è un concetto ampio e dai contorni sfumati: in Siria lo stesso Occidente da tempo chiede che si dia possibilità ai ribelli, per lo più tagliagole di Al Qaeda, di organizzare una consultazione popolare alla quale però non dovrebbe partecipare Assad…

Anche il nuovo governo di Kiev non ha accettato la consultazione, ed ha parlato di «farsa criminale ispirata, organizzata e finanziata dal Cremlino». Il problema, al di là del sostegno di Mosca ai ribelli (che fa il paio con quello della Nato al governo ucraino), è che da tempo le autorità di Kiev hanno bollato gli autonomisti come “terroristi” e non hanno la minima intenzione di trattare con questi. Non è un buon punto di partenza.

Oggi i giornali italiani, dopo giorni nei quali si era parlato solo di interferenze russe, hanno dovuto registrare che alle urne improvvisate nell’Est ucraino si sono recati davvero in tanti, una consultazione che ha trovato quindi un ampio consenso popolare, al di là dei numeri più o meno reali. Ed è già un dato: se a organizzare la cosa fossero stati solo un manipolo di rivoltosi, le urne sarebbero andate deserte. C’è chi parla di consultazioni viziate da un’assenza di controllo da parte di organismi internazionali, dimenticando che al governo ucraino ci sono persone che non hanno avuto alcun mandato popolare se non quello di qualche migliaio di persone protagoniste di piazza Majdan (molte meno di quelle andate alle urne nell’Est)… E per fare un caso a noi più prossimo, a capo del governo italiano c’è un tale che è stato chiamato a Palazzo Chigi dopo una consultazione popolare interna a un unico partito politico…

Ma al di là di considerazioni che lasciano il tempo che trovano, resta il fatto che la rivolta delle regioni orientali dell’Ucraina gode del consenso della popolazione locale. Un dato ora incontrovertibile e che dovrebbe essere tenuto in debito conto nella sviluppo di questa crisi, per evitare ulteriori  tragedie. Il 25 maggio sono previste le elezioni nazionali: da queste urne uscirà un nuovo governo, un po’ più legittimato di quello attualmente in carica, anche se ovviamente gli avvenimenti di questi ultimi mesi peseranno e molto. Si spera che in questi giorni il governo di transizione di Kiev non forzi la mano e lasci ai nuovi incaricati il compito di districare l’intricata matassa. È una speranza, nulla di più, dal momento che finora il governo di piazza Majdan ha cercato in tutti i modi di mandare a monte questa consultazione con la forza e provocando decine di morti, gli ultimi dei quali nella città di Mariupol (i giornali italiani non ne hanno scritto, intenti invece a registrare lo sdegno internazionale per la visita ufficiale di Putin in Crimea in occasione di una celebrazione della vittoria sul nazismo).

Ha fatto notizia l’endorsement di uno degli uomini più ricchi del Paese, Rinat Akhmetov, proprietario della squadra di calcio dello Shaktar Donetsk, fino a ieri alquanto vicino al nuovo corso ucraino, che ha chiesto a Kiev di tenere conto del malcontento delle province dell’Est e ha detto di sostenere la rivolta. Dichiarazione di peso che ha allarmato Kiev.

Interessante un’osservazione di Gerhard Schröder, intervistato sulla Repubblica di oggi. L’ex cancelliere tedesco, considerato vicino a Vladimir Putin, ha ribadito che le sanzioni contro Mosca non servono a nulla; ma soprattutto, che non è «realistica» l’idea che basta un niet di Putin per porre fine alla rivolta. Situazioni complesse devono essere affrontate in maniera complessa.

Tutto è ancora sospeso. Resta il fatto che quanti finora hanno soffiato sul fuoco sostenendo la rivolta di piazza Majdan come soluzione ai problemi geopolitici posti dal nuovo protagonismo di Vladimir Putin sulla scena mondiale non si rassegneranno facilmente a perdere, dopo la Crimea, anche il controllo delle regioni orientali.

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