3 Settembre 2013

Obama e il Congresso, la battaglia è iniziata

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«Se si votasse oggi il presidente perderebbe, ma da qui al 9 settembre probabilmente ce la farà». È quanto si legge su di un sito molto informato circa i retroscena della politica Usa, il blog Politico.com. Il Congresso riprenderà i lavori il 9, appunto, ed è allora che inizierà il dibattito vero e proprio sull’intervento in Siria. Ma, ovviamente, il confronto, dietro le quinte, è già iniziato. L’Amministrazione Obama intesse rapporti, invia dossier; i vari deputati e senatori si informano, discutono tra loro. Ieri si è tenuta una riunione riservata, presenti 83 deputati, al termine della quale, Tom Cole, repubblicano, ha detto: «Sarà difficile che questo Parlamento autorizzi l’uso della forza in Siria». Insomma, non è affatto scontato il via libera alle bombe richiesto dal Presidente Usa. La spaccatura è trasversale: ci sono falchi e colombe a destra e a sinistra; tra le colombe, spicca il repubblicano Rand Paul, uno dei leader del Tea Party. 

Certo, l’accenno conclusivo di Politico.com suona realista, dal momento che a spingere verso l’intervento sono tante e potenti lobby – tra le quali l’influente Aipac (American Israel Public Affairs Committee) -, le quali dovrebbero riuscire a condizionare il voto finale. Nondimeno questa situazione alimenta la speranza di quanti nel mondo sono contrari a questa guerra insensata e sperano che si ripeta quanto accaduto a Londra, dove il Parlamento ha bloccato, a sorpresa, l’interventismo di Cameron. 

Il mondo vive un momento altamente drammatico: da più parti, Vaticano compreso, si teme che un intervento in Siria possa scatenare una guerra mondiale. D’altronde c’è chi è affascinato da questa prospettiva: una grande guerra che rilanci un Occidente in declino, sia sul piano culturale che economico. Una guerra escatologica, prima ancora che ideologica o di interesse. Urge un Katechon.

 

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