19 Dicembre 2013

Obama, schiaffo a Putin: due gay a Sochi

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Gli Stati Uniti si omologano alla Germania e alla Francia, che hanno deciso di non inviare delegazioni di livello alle Olimpiadi di Sochi: Obama annuncia che né lui né il vicepresidente Biden saranno presenti alla cerimonia di inaugurazione. A rappresentare gli Stati Uniti, oltre all’ambasciatore, saranno due icone gay, la campionessa di tennis Billie Jean King  e la stella di hockey su ghiaccio Caitlin Cahow. La scelta della delegazione rende manifesto anche il motivo della defezione delle massime autorità americane, ovvero la protesta per le leggi sull’omosessualità varate da Putin, norme che la comunità gay, e non solo, ritiene altamente discriminatorie.

Un duro colpo per Putin che su queste olimpiadi ha investito tanto: in termini economici (si parla di 38 miliardi di dollari) e in termini di prestigio personale. Tra l’altro la manifestazione sportiva è ad alto rischio a causa delle minacce terroristiche, e lo zar russo sa bene che se dovesse accadere il minimo incidente la sua credibilità scenderebbe a zero.

Certo non siamo al boicottaggio del 1980, quando gli Usa e un’altra sessantina di Paesi disertarono le Olimpiadi di Mosca per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan, ma si adombra qualcosa di simile. 

Sarà un’Olimpiade complicata per Putin. I primi segnali di boicottaggio erano venuti dal movimento dei terroristi ceceni (famosi per la strage di Beslan, nella quale uccisero centinaia di bambini, e per gli orrori che compiono in Siria) che avevano promesso di scatenare l’inferno contro l’Olimpiade; poi è stata la volta del potente capo dei servizi segreti dell’Arabia Saudita, Bandar Bin Sultan, che in un colloquio segreto con Putin aveva promesso “protezione” dal terrorismo in cambio di un disimpegno russo in Siria (un po’ come fa il racket del pizzo quando promette protezione a un locale); adesso è il movimento per i diritti dei gay a protestare contro lo zar e la sua Olimpiade: dopo la defezione degli Stati Uniti è possibile che altri Paesi ne seguano l’esempio. 

Per puro caso la vicenda è avvenuta nel giorno in cui Putin ha varato un’amnistia che restituisce la libertà ad alcuni attivisti di greenpeace, arrestati per aver protestato contro trivellazioni petrolifere ritenute dannose per l’ambiente (pare che certi ambientalisti trovino più inquinanti le trivellazioni russe che quelle delle compagnie petrolifere occidentali); insieme a loro, l’amnistia concede la libertà alle Pussy Riot, arrestate per aver inscenato una sabba satanico sull’altare della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, gesto che le ha rese icone mondiali della libertà di espressione. I detenuti erano da tempo al centro di un braccio di ferro mediatico e diplomatico con l’Occidente, che ne ha chiesto a più riprese la scarcerazione. Purtroppo per Putin il giorno dell’annuncio del loro rilascio, che avrebbe dovuto allontanare da lui quell’aura di tiranno trinariciuto che gli viene affibbiata dai suoi avversari, è coinciso con l’annuncio di Obama. Vanificandone l’effetto d’immagine sperato dallo zar di Mosca. Se c’è una regia in tutto questo non è dato da vedere. Certo è che la coincidenza non è stata felice per l’inquilino del Cremlino, già nei guai a causa del braccio di ferro impegnato in Ucraina, Paese al centro di una contesa tra Russia e Unione Europea.

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