Russia: Nemtsov come Nisman
Tempo di lettura: 4 minutiCommentare l’assassinio di Boris Nemtsov, l’oppositore di Putin ucciso in Russia sabato scorso, è esercizio rischioso, dal momento che il tribunale internazionale dei media mainstream ha già emesso il suo verdetto contro il governo di Mosca. Proveremo, ben sapendo di urtare suscettibilità.
Nemtsov era oppositore politico di secondaria importanza, rilevano tutti gli osservatori, dal momento che ormai altri e più giovani sono i leader dell’opposizione, in particolare Alexei Navalny, con il quale aveva un rapporto problematico e conflittuale. Uomo di apparato, era stato vicepremier con Boris Eltsin nell’epoca delle privatizzazioni selvagge, che depredarono la Russia a favore di oligarchi e organizzazioni criminali (qualche idea su quanto avvenuto all’epoca si può avere leggendo il libro Economia criminale di Loretta Napoleoni). L’uomo quindi era diventato sindaco di una piccola città e si era ritagliato un ruolo come oppositore di Putin, attirandosi le simpatie e il sostegno di politici e intellettuali occidentali.
Poco prima di essere ucciso aveva confidato di temere che lo zar russo potesse eliminarlo e così è stato, proprio alla vigilia di una manifestazione da lui indetta «a forte rischio di flop» (Repubblica del 2 marzo), come tante altre che si sono succedute in questi ultimi anni a Mosca. Certo, le ristrettezze della polizia non aiutano la partecipazione dei cittadini a tali eventi, ma molto più pesa il fatto che circa l’85% della popolazione sta con Putin, come da tempo sottolineano, spesso con certo sconforto, anche i media occidentali.
La dinamica di questa vicenda ricorda più che l’omicidio della Politaskaya, delitto al quale quello di Nemtsov viene associato, quello avvenuto a metà gennaio in Argentina: Alberto Nisman, magistrato incaricato di far luce sulla strage avvenuta all’Amia, Asociación Mutual Israelita Argentina, nella quale furono uccisi 85 ebrei, dopo aver imboccato diverse piste rivelatesi fasulle (e di molto), aveva puntato il dito contro la presidenta Cristina Kirchner, dicendosi pronto a incriminarla.
Anche lui aveva confidato di temere per la propria vita e anche lui è stato ucciso poco prima di compiere quanto annunciato (nessuno saprà mai se le sue accuse sarebbero state inconcludenti come le pregresse, così come nessuno potrà verificare se la manifestazione indetta da Nemtsov sarebbe andata deserta, concedendo l’ennesima vittoria a Putin).
Come Nisman in Argentina, anche Nemtsov in Russia, dopo l’assassinio, diventa muto testimone d’accusa contro il potere costituito. Altro elemento comune tra i due avvenimenti: né Putin né la Kirchner godono di molte simpatie nel mondo occidentale.
In realtà quasi nessuno, nemmeno in Occidente, accusa apertamente Putin, semmai il dito accusatore punta verso qualche frangia nazionalista interna all’apparato, che avrebbe agito contro la volontà del Presidente russo per proteggere l’integrità della nazione dai nemici interni. Questa la vulgata più diffusa, anche perché tutto si può dire a Putin meno che sia sciocco; e solo uno sciocco suicida avrebbe potuto immaginare che un delitto del genere non sarebbe stato usato come un maglio dall’Occidente contro di lui. Cosa che sta accadendo puntualmente.
Interpellato sul caso, Eduard Limonov, altro oppositore di Putin anche se da un fronte diverso da quello di Nemtsov, sulla Stampa del 1 marzo ha dichiarato: «Per me è possibile che si tratti di una provocazione politica. A che scopo? Forse per scatenare una rivolta arancione anche qui in Russia […] mi pare più probabile che sia opera di avversari del Cremlino. Certo fa comodo a loro, più che a Putin: questo omicidio è l’ultima cosa che serve al presidente russo in questo momento, lo danneggia soltanto».
Certo, sarebbe esercizio facile rammentare come da tempo, ovvero dall’inizio della guerra ucraina, politici e intellettuali occidentali sognano una primavera russa. Un sogno legato al calo del prezzo del petrolio e agli effetti delle sanzioni che, secondo previsioni rivelatesi sbagliate, avrebbero creato malcontento nella popolazione e scatenato moti di piazza contro Putin. Non è andata così, anche perché il duro colpo all’economia russa non ha provocato nulla del genere. Da vedere se questo omicidio, che ieri ha portato in piazza decine di migliaia di persone – la prima vera manifestazione di piazza da anni – avrà l’effetto profetizzato (ma è difficile).
Dalle parti russe ci si interroga su una possibile operazione coperta della Cia o del Mossad (così la Pravda), ma anche su una possibile iniziativa di elementi nazionalisti ucraini che avrebbero usato allo scopo le informazioni dell’accompagnatrice ucraina del politico russo, Anna Duritskaya; quest’ultima, sopravvissuta all’attentato, cosa che ha suscitato domande dato che omicidi simili non tollerano testimoni, è ora sotto la protezione della polizia.
Da capire meglio anche la dinamica del delitto. Ad oggi è tramontata la prima ricostruzione dei fatti fornita dalla donna, secondo la quale l’uomo sarebbe stato colpito da proiettili sparati da un’auto in corsa. Invece Nemtsov sarebbe stato colpito da un killer che lo aspettava nascosto dietro l’infrastruttura di un ponte; solo dopo aver sparato sarebbe giunta l’auto di cui sopra che lo ha portato in salvo. La domanda semplice, alla quale è stata sicuramente chiamata a rispondere la Duritskaya, è questa: come poteva il killer essere sicuro che la vittima sarebbe passata proprio in quel punto della piazza, stante che si trattava di una passeggiata romantica dopo una cena consumata in dolce compagnia in un ristorante vicino ma non troppo?
Per saperne di più occorrerà attendere l’esito delle indagini, anche se difficilmente si arriverà ad accertare la verità.
Di questa vicenda va segnalato un particolare. Chi ha ucciso Nemtsov lo ha fatto all’ombra del Cremlino. Poteva farlo in altro luogo, più tranquillo. Invece ha scelto la piazza Rossa, la zona più protetta e sicura della Russia. Un ulteriore segnale per lo zar di Mosca, una ulteriore sfida al suo controllo sul Paese.
(nella foto: Boris Eltsin e un giovane Nemtsov)