7 Settembre 2013

Siria, il mondo si spacca

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Si chiude il vertice del G20 a San Pietroburgo. Si è parlato, di fatto, solo di Siria, ma nel comunicato finale non ce n’è traccia, dal momento che sulla questione le fratture sono insanabili. Putin ha cercato di far emergere l’isolamento di Obama sull’intervento militare e questi, in risposta, ha sventolato al mondo un documento in cui 11 Paesi, 10 presenti al G20 più la Spagna, hanno espresso il loro sostegno agli Usa, ma vincolando l’intervento a una decisione dell’Onu: un artificio, ovviamente, dal momento che gli Stati Uniti si guardano bene dal portare la questione alle Nazioni Unite dove troverebbero il veto russo. Tra i firmatari del documento anche l’Italia, che in questo modo compie un piccolo passo indietro rispetto a una linea finora oltremodo ragionevole.

Alla fine del vertice, Obama ha accennato a una possibile ripresa dei negoziati nel periodo post bellico; cosa nuova, dal momento che nel suo primo discorso dopo l’attentato chimico del 21 agosto non aveva accennato affatto a una possibile trattativa. Anche Putin ha detto la sua, spiegando come la Russia non mancherà di aiutare il governo di Damasco fornendo armi e aiuti economici. Scenario da guerra fredda, insomma.

Al di là di quanto successo al vertice, la situazione interna Usa è ancora alquanto complessa: a una stragrande maggioranza di contrari alla guerra tra la popolazione, corrisponde una forte resistenza del Congresso, anche se meno marcata di quanto si registra nel Paese reale. I rappresentanti sanno che la loro decisione rischia di comprometterne una eventuale rielezione e questo frena l’assenso alla guerra. Così i numeri restano ancora un problema per Obama, dal momento che alla Camera sembra che non ci siano i voti necessari. C’è ancora tempo e modo per esercitare pressioni, ma questa indecisione, a pochi giorni dal voto, è un dato non secondario, che potrebbe portare a limitare ancora di più la portata dell’intervento, almeno nel mandato che il Congresso darà al Presidente e salvo imprevisti di percorso, quasi inevitabili in guerra.

Resta la tristezza nel vedere il voltafaccia di Obama: eletto Presidente essenzialmente per chiudere il decennio bellico inaugurato nel post 11 settembre, si aggira per il mondo come un neocon qualsiasi, senza averne il fisico. Il ricorso al tribunale della storia, evocato dal Papa sulla vicenda siriana, vale anche per lui. Poteva passare alla storia come uno dei più grandi Presidenti degli Stati Uniti d’America, probabilmente ci passerà come uno dei peggiori, dal momento che, volendo piacere un po’ a tutti, ha scontentato tutti. Sic transit gloria mundi.

Una piccola digressione riguarda l’uso delle armi chimiche: anche le bombe al fosforo, e derivati moderni molto più letali, sono considerate armi chimiche. Gli Usa ne hanno fatto largo uso in Vietnam, come anche nel più recente massacro di Falluja – ultima guerra irachena – bombardata per circa un mese con questi ordigni. Senza contare le bombe all’uranio impoverito, usate largamente nella guerra irachena, che ancora oggi continuano a produrre i loro effetti letali. C’è poi la gassificazione di massa ad opera di Saddam che riportiamo in nota. Solo per accennare che certe questioni sono più complesse di alcune semplificazioni belliciste che imperversano sui media.

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