4 Dicembre 2013

"Subito 6 miliardi di tagli alla spesa"

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Tal Olli Rehn, commissario europeo per gli affari economici e monetari, chiede altri sacrifici all’Italia e agli italiani, urgendo tagli alle spese per altri 6 miliardi di euro. L’uomo è un ex calciatore, ma ha dedicato anche parte del suo tempo agli studi economici; e proprio da questi studi probabilmente viene fuori questa nuova indicazione diretta al Belpaese, già depredato di gran parte della sua ricchezza a favore delle grandi banche e delle classi medie del Nord Europa. Tra l’altro, Rehn è finlandese, una nazione che non ha certo brillato per lo sviluppo industriale, né per innovazione tecnologica, né per altre realizzazioni di tipo imprenditoriale. Una nazione di cinque milioni di abitanti, più o meno pari alla popolazione di Roma. Ma tant’è, questa è l’eurocrazia, che mette nei posti chiave delle istituzioni persone il cui unico merito è quello di risultare affidabile ai potenti di turno, in particolare a quelli finanziari, e per conto dei quali cala dall’alto ricette e giudizi su Stati le cui complessità meriterebbero di essere affrontate con ben altri criteri. È la tragedia che sta vivendo l’Europa, e con lei l’Italia che con De Gasperi, e non solo, fu uno dei Paesi promotori della sua unificazione. 

L’idea di fondo era quella di costruire un’Europa dei popoli, che da questa unità traessero benefici in termini di prosperità e di pace. Accade esattamente il contrario, almeno sul piano economico (anche se sull’altro versante non va trascurato che il depauperamento di intere nazioni alimenta destabilizzazione, con il rischio di nuovi e imprevedibili conflitti sociali). Un mostro unitario che vive al di fuori di ogni parametro democratico, dal momento che l’unica assemblea elettiva esistente non ha alcun potere reale e i suoi dirigenti effettivi sono dei meri funzionari. I quali un tempo almeno non avevano alcun potere reale, oggi invece, in un momento tanto critico, hanno assunto un ruolo decisivo, senza alcun motivo apparente e senza che se ne veda l’utilità.

Uscire dall’Europa è impossibile dopo tanti anni di integrazione, pena un crollo dell’economia nazionale e conseguenze sull’economia mondiale. Ma riformare questo mostro è diventato necessario, a meno di non rassegnarsi a soggiacere ai diktat di centri culturali-finanziari non elettivi che, nel vuoto di potere, si sono arrogati il diritto di governare interi popoli. A breve ci saranno le elezioni europee: potrebbe essere l’occasione per un dibattito su questo tema, ma non è così (a parte le proposte di Beppe Grillo, giuste o sbagliate che siano, che almeno si interroga sulla questione). Eppure questa tematica interessa molto di più il destino, e le tasche, degli italiani che non il futuro di Silvio Berlusconi e del suo Milan o il dibattito interno al Pd. Ma nulla accade. Altro segno, se mai ce ne fosse bisogno, della inadeguatezza della classe dirigente italiana, non solo politica, che ha preso il posto di quella spazzata via negli anni di tangentopoli.

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