1 Novembre 2016

Joselito, il martire ragazzino (1)

di Pina Baglioni
Joselito, il martire ragazzino (1)
Tempo di lettura: 5 minuti

È un giorno di settembre del 2008, a Sahuayo, città dello stato di Michoacán, Messico occidentale. Nella casa di una giovane e felice famigliola accade che Ximena Guadalupe Magallón Gàlvez di poche settimane di vita, un giorno, all’improvviso, perde conoscenza per via di una febbre molto alta.

 

I genitori chiamano immediatamente il pediatra che, vista la situazione, li spedisce  all’ospedale Santa María di Sahuayo. Ma, una volta ricoverata, i medici non riescono a capire di cosa si tratti. Si decide allora di trasferirla in un altro ospedale nello stato di Aguascalientes dove viene diagnosticata per una polmonite anomala.

 

«Abbiamo trascorso due mesi vivendo in un incubo perché i medici non sapevano cosa stesse succedendo: la bimba non rispondeva a nessuna cura», racconta  Paulina Gálvez Ávila, la madre di Ximena. Si decide, allora, di consultare un altro medico presso altro ospedale: pare si tratti di pneumococco, un’infezione batterica che può causare meningite, infezioni al sangue e polmonite. E inizia la cura.

 

Purtroppo anche in questo caso, non succede nulla. Anzi, la piccola ha uno sguardo vuoto, non reagisce. Sta sempre peggio. Si torna al punto di partenza: Ximena viene portata di nuovo ad Aguascalientes. Dove, finalmente, si scopre che il polmone destro è invaso da un liquido.

 

Si decide di operarla subito, anche se l’intervento si preannuncia molto rischioso. I genitori acconsentono all’intervento, ma prima la fanno battezzare. L’operazione al polmone riesce, ma i medici scoprono che la bambina è stata colpita anche dalla tubercolosi.

 

È la volta della cura per la tubercolosi, ma la situazione precipita: interviene un ictus che riduce la piccola paziente in uno stato semi vegetativo, con solo il dieci per cento dell’attività cerebrale. Viene indotta, allora, in coma faramacologico.

 

I genitori vengono allertati: Ximena si potrà salvare se riuscirà a reagire nelle successive 72 ore. Altrimenti, non ci sarà più nulla da fare. Purtroppo, nulla accade, e a quel punto i medici comunicano ai genitori che la bambina deve essere scollegata dai macchinari che la tengono ancora in vita.

 

Paulina, la mamma, allora, chiede tempo e comincia ad andare a messa tutti i giorni, raccomandosi a Joselito di intercedere presso il Signore per la sua Ximena.

Joselito – così viene chiamato affettuosamente in famiglia – è il beato José Luis Sánchez del Río, veneratissimo in tutto il Messico: un ragazzino martirizzato a causa della fede a 14 anni il 10 febbraio del 1929, durante la grande persecuzione dei cristiani imposta dal governo massonico di Plutarco Elías Calles.

 

Ma il tempo è scaduto: incalzata dai medici per scollegare la bimba, Paulina implora di lasciarla da sola qualche altro minuto per abbracciarla l’ultima volta. Quando il distacco viene attivato, accade l’incredibile: Ximena apre gli occhi e comincia a ridere. Gioia, felicità, sconcerto. Accade di tutto.

 

Mentre i genitori esultano per la loro bimba, i medici trasecolano. La bimba viene sottoposta a una Tac e a un encefalogramma: le attività del cervello si sono quasi completamente riattivate. Il personale medico, incredulo, avverte comunque i genitori che la bambina avrà conseguenze:  grandi difficoltà nel mangiare, camminare correttamente, nella vista e dell’udito.

 

«Abbiamo ringraziato infinitamente il Signore per il miracolo ottenuto» racconta oggi Paulina Gálvez Ávila. «E il nostro martire ragazzino per la sua intercessione». Oggi Ximena è una bambina di otto anni, dalla salute pressoché perfetta.

 

Joselito, il martire ragazzino

Domenica 16 ottobre 2016, in piazza San Pietro papa Francesco ha canonizzato José Luis Sánchez del Río proprio per questo miracolo. La storia del ragazzino martire non gli era affatto ignota: lo scorso anno, durante il suo viaggio apostolico in Messico, papa Bergoglio ha voluto pregare presso la sua tomba, collocata sotto un altare laterale della chiesa di San Giacomo a Sahuayo.

 

José Luis Sánchez del Río –  Joselito per quelli che lo venerano –  era il terzogenito di una famiglia poverissima di Sahuayo, nato il 28 marzo del 1913. María del Río e Macario Sánchez, i suoi genitori, gli trasmettono la fede cattolica, che si manifesta presto come particolare: il ragazzino mostra una devozione non comune verso la Madonna. Anche per questo, riceve la prima comunione in tenerissima età.

 

Le gravi ristrettezze economiche spingono la famigliola ad emigrare a Guadalajara. È il 1917, l’anno di entrata in vigore della nuova costituzione nata dalla Rivoluzione messicana del 1910. Un nuovo corso ostile alla Chiesa, che si traduce, almeno all’inizio, in sporadici incidenti di percorso.

 

Il 1° dicembre del 1924, quando viene eletto presidente del Messico Plutarco Díaz Calles. Massone, anticlericale e dedito allo spiritismo, l’ex generale rivoluzionario avvia un programma di riforme a favore dei contadini, accompagnato però da una politica esplicitamente avversa alla Chiesa cattolica che considera «la sola causa di tutte le sventure del Messico».

 

E, da subito, mette in atto l’articolo 130 della Costituzione: i beni ecclesiastici vengono confiscati dallo Stato e vengono introdotte forti limitazioni della Chiesa nella vita pubblica. Viene esplicitamente proibita per legge ogni forma di aggregazione ecclesiale; i sacerdoti stranieri vengono espulsi dal Paese; le scuole e alcune opere caritative vengono chiuse.

 

Viene infine impedito ai fedeli di partecipare alla messa. Ciò provoca una reazione della Chiesa: per ordine diretto di papa Pio XI le porte delle chiese vengono serrate.

 

L’accesa politica anticlericale provoca proteste popolari, che inizialmente si limitano a delle marce pacifiche. Ma la repressione incrudelisce: il presidente invia per il Paese squadracce di federali con licenza di uccidere i suoi oppositori, cosa che avviene puntualmente e con modalità barbare. Nasce così, per reazione, la rivolta dei “Cristeros”, che interessò in particolare le regioni del Messico Centrale.

 

Come conseguenza della repressione anti-cattolica, il numero di sacerdoti in Messico passò da circa 4.500 prima del 1926, a soli 334 nel 1934. Quasi 4.000 preti furono esiliati o uccisi e migliaia di cittadini messicani furono perseguitati, torturati e uccisi.

 

Nel 1935 ben 17 stati messicani non avevano nemmeno un prete nel loro territorio. Le persecuzioni finirono dopo le importanti vittorie da parte del generale Enrique Gorostieta, che fu chiamato a guidare i Cristeros nonostante non fosse cristiano, anzi si dicesse che era anche lui massone e giacobino. Le disfatte  costrinsero il presidente a moderare le sue posizioni.

 

È in questo tragico contesto che si inserisce la vicenda umana di José Luis Sánchez del Río: i suoi due fratelli maggiori, Macario e Miguel, chiedono e ottengono dai genitori di entrare nell’esercito volontario dei Cristeros, agli ordini del generale Ignacio Sánchez Ramírez. A Joselito non è concesso, avendo egli poco più di tredici anni.

 

Il ragazzino si sente quasi in colpa, confrontandosi con l’esempio dell’avvocato Anacleto González Flores, che qualche tempo prima era stato arrestato e torturato a morte ed era diventato un eroe popolare. È pregando sulla sua tomba che a Joselito viene da chiedere la grazia del martirio. Insiste quindi ancora una volta con sua madre: «Non è mai stato così facile guadagnarsi il cielo come adesso», la supplica.

 

(prima puntata, per leggere la seconda parte cliccare qui)

 

 

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