9 Ottobre 2013

Il mese di ottobre e la preghiera a san Giuseppe

di Paola Di Sabatino
Cotignac, Provenza, statua di San Giuseppe nel luogo della sua unica apparizione riconosciuta
Tempo di lettura: 6 minuti

A te, o beato Giuseppe

San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale

«Venerabili Fratelli, ripromettendoci moltissimo dalla vostra autorità e dal vostro zelo episcopale, né dubitando che le pie e buone persone intraprendano molte altre cose, e anche maggiori di quelle comandate da Noi, decretiamo che in tutto il mese di ottobre si aggiunga nella recita del Rosario, da Noi già prescritto altre volte, l’orazione a San Giuseppe il cui testo riceverete insieme con quell’Enciclica». Era il 15 agosto 1889 quando papa Leone XIII pubblicò queste parole nella Quamquam pluries, l’enciclica interamente dedicata a san Giuseppe attraverso la quale il vescovo di Roma esortava accoratamente il Popolo di Dio a ricorrere all’«amorosa tutela» dello sposo della vergine Maria, in tempi in cui «i mali» che attanagliavano la Chiesa erano «maggiori di ogni umano rimedio». Un breve scritto che in fondo è interamente condensato nella preghiera finale, A te o beato Giuseppe, una tra le più belle suppliche della tradizione cristiana dedicate al carpentiere di Nazareth e composta proprio da papa Pecci. Il Pontefice ne raccomandò la recita al termine del Rosario, in particolar modo in ottobre, mese che lui stesso aveva già consacrato a tale devozione mariana: «E così si faccia – specificava il papa – ogni anno in perpetuo».

Stretti dalla tribolazione ricorriamoIl mese di ottobre e la preghiera a san Giuseppe

Papa Leone XIII

Papa Leone XIII

Tra le righe di quella splendida preghiera, assieme lancinante grido d’aiuto e atto d’umilissimo abbandono al custode della Sacra Famiglia, c’era tutta la drammaticità della situazione che allora stava attraversando la Chiesa. Leone XIII, erede di un difficile pontificato, politicamente e fisicamente prigioniero in Vaticano, si trovava a fronteggiare, come scrisse nell’enciclica Exeunte anno (1888), «la guerra sistematicamente rivolta contro tutto ciò che è cattolico», ad opera delle «oscure e funeste pestilenze», tra le quali «il razionalismo, il naturalismo e l’ateismo» d’ispirazione massonica diffuse nell’Italia postunitaria e nel resto d’Europa: «Il potere delle tenebre – si legge nella Quamquam pluries – sembra essere tutto ai danni della cristianità […]. Vediamo la lotta che da ogni parte si fa alla Chiesa di Cristo con violenta perfidia, la guerra atroce contro il papato e i tentativi sempre più aperti di scalzare gli stessi fondamenti della religione». Una «lotta» di cui l’anziano papa aveva parlato anche alcuni mesi prima della pubblicazione dell’enciclica giuseppina, quando aveva rammentato le misure contro la Chiesa adottate dai primi governi italiani: «La sottrazione di tanti operai evangelici per la dispersione di ordini religiosi; […] gli atti già consumati e gli altri che si minacciano a danno delle opere pie, dei pii sodalizi e di qualsiasi istituzione cattolica».

Occasione di ulteriore sofferenza per il romano Pontefice fu poi l’erezione della statua di Giordano Bruno eretta a Roma, a Campo de’ Fiori, il 9 giugno.  La statua del filosofo-alchimista, con il cappuccio alzato e lo sguardo torvo, minacciosamente rivolto verso la cupola di San Pietro, era stata scolpita da Ettore Ferrara, artista liberale e anticlericale divenuto successivamente gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Leone XIII, sebbene non lasciò Roma per recarsi nella «più cattolica Austria» – come aveva minacciato di fare -, denunciò in maniera durissima le intenzioni dei promotori del gesto: «vogliono a ogni costo l’apostasia della società da Dio, e con odio infinito fanno guerra a morte alla Chiesa […]. La sicurezza stessa della nostra persona è in pericolo». Ma queste parole arrivarono dopo: il giorno dell’inaugurazione il papa si limitò a restare presso la statua di san Pietro in silenzio, preghiera e digiuno. Perché, avrebbe scritto poi nell’enciclica giuseppina, «presto o tardi il frutto delle preghiere e della speranza nella bontà divina si evidenzia».

E fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio

In questa temperie, l’anziano pontefice indicava nella devozione al santo Rosario un porto sicuro, una luminosa via di salvezza tra le tenebre che avvolgevano la Chiesa e il mondo. Tuttavia, spiegava nella Quamquam pluries, «per meglio rendere Iddio favorevole alle nostre preci e perché Egli, supplicato da più intercessori, porga più rapido e largo soccorso alla sua Chiesa, riteniamo che sia sommamente conveniente che il popolo cristiano si abitui a pregare con singolare devozione e animo fiducioso, insieme alla Vergine Madre di Dio, il suo castissimo sposo San Giuseppe: il che abbiamo particolari motivi di credere che debba tornare accetto e caro alla stessa Vergine». Sebbene già Pio IX avesse dichiarato lo Sposo della Madre di Dio Patrono della Chiesa Universale, fu Leone XIII il primo papa «a trattare pubblicamente questo tema»: Giuseppe, scriveva l’allora vescovo di Roma, doveva essere considerato «protettore, in modo speciale, della moltitudine dei cristiani di cui è formata la Chiesa, cioè di questa innumerevole famiglia sparsa in tutto il mondo sulla quale egli, come sposo di Maria e padre di Gesù Cristo, ha un’autorità pressoché paterna»; a lui potevano affidarsi «tutti i cristiani, di qualsivoglia condizione e stato», fiduciosi che questi sarebbe stato aiuto e guida per tutti.

In realtà, la Quamquam pluries sanciva, con la «voce» e l’«autorità» del Vicario di Cristo, una devozione ben viva da secoli nel Popolo di Dio. Ma quello dell’anziano Pontefice era soprattutto un atto d’amore e di domanda per sé, per la cristianità ed il mondo intero; un gesto di tenero abbandono tra le braccia dell’«amantissimo padre», nella pia certezza che, come in terra esse avevano «salvato dalla morte la minacciata vita del Bambino Gesù», così dal Cielo quelle stesse braccia sarebbero state per la Chiesa di Cristo scudo e difesa nella «lotta contro il potere delle tenebre».

Insieme con quello della tua Santissima Sposa

Fatima, 13 ottobre 1917: fedeli inginocchiati durante il "miracolo del sole"

Fatima, 13 ottobre 1917: fedeli inginocchiati durante il “miracolo del sole”

Cinque anni prima di scrivere l’enciclica dedicata a san Giuseppe, di quelle tenebre e della «peste di errori e di vizi che ammorba il mondo» papa Leone XIII aveva avuto una terribile visione alla fine di una celebrazione di ringraziamento: il diavolo scatenato, e con esso legioni di demoni, si sarebbe a lungo abbattuto sulla Chiesa, scuotendola sin dalle sue fondamenta, e soltanto molto tempo dopo l’arcangelo Michele, in risposta alle preghiere dei poveri fedeli, sarebbe intervenuto, ricacciando all’inferno il nemico (di qui l’esorcismo, che papa Pecci scrisse e inviò a tutti i vescovi del mondo, assieme alla preghiera a San Michele arcangelo, di cui comandò la recita alla fine di ogni messa). Era il 13 ottobre 1884. Esattamente 33 anni dopo, il 13 ottobre 1917, la Madonna del Rosario appariva per l’ultima volta ai tre pastorelli di Fatima. Proprio nel mese che Leone XIII le aveva dedicato. Era il giorno del grande “miracolo del sole” e della grandiosa visione finale di cui furono testimoni Lucia, Francesco e Giacinta; dopo la Vergine, i piccoli videro anche san Giuseppe stringere tra le braccia il Bambino Gesù: «Scomparsa la Madonna nell’immensa distanza del firmamento – raccontava Lucia -, vedemmo, vicino al sole, San Giuseppe col Bambino e la Madonna vestita di bianco con un manto azzurro. San Giuseppe e il Bambino parevano benedire il mondo, con dei gesti che facevano con la mano in forma di Croce»; e nella visione immediatamente successiva, quella in cui comparivano la Madonna addolorata e Gesù, «Nostro Signore», specificava Lucia, pareva benedire il mondo proprio «come aveva fatto San Giuseppe». Papa Gioacchino Pecci era morto da quattordici anni; ma quel gesto di benedizione del «beatissimo Patriarca» sulla Chiesa e sul mondo tutto era anche una risposta alle sue preghiere e alla sua devozione allo Sposo di Maria.

Sono passati tanti anni da allora: oggi i perigli che stringono la Chiesa e il mondo sono altri e diversi, più occulti e feroci. Ma piace ricordare come sotto il Pontificato di Francesco lo Stato del Vaticano sia stato consacrato a san Giuseppe (e a san Michele arcangelo), a protezione della Santa Sede e della Chiesa tutta, e come il nome dello sposo di Maria sia stato inserito nel messale accanto a quello della sua «santissima sposa». Ora come allora, la Chiesa si affida fiduciosa all’intercessione di san Giuseppe affinché la difenda dalle «ostili insidie e da ogni avversità».

 

Riportiamo per intero il testo della preghiera «A te, o beato Giuseppe» composta da Leone XIII:

 

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, insieme con quello della tua santissima Sposa.

Deh! Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno, la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto soccorri ai nostri bisogni.

Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso possiamo virtuosamente vivere, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. Amen.

Come in cielo
15 Maggio 2018
San Giovanni in Sinis
Come in cielo
5 Maggio 2018
Bartali, ovvero Gino il pio
Come in cielo
19 Aprile 2018
A sei anni dalla scomparsa di don Giacomo
Come in cielo
5 Marzo 2018
San Giuseppe a Cotignac