9 Febbraio 2016

Roma e il cuore di san Carlo

di Pina Baglioni
Teca con le reliquie di San Carlo
Tempo di lettura: 5 minuti

Tra gli itinerari che i pellegrini percorrono a Roma per il Giubileo della Misericordia, si potrebbe prendere in considerazione una sosta sconosciuta ai più ma di grande suggestione. È la maestosa basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, dove è racchiuso un grande tesoro della Chiesa: nel deambulatorio, dietro l’altar maggiore, se ne sta in perfetta solitudine la reliquia del cuore di san Carlo Borromeo, l’incomparabile pastore della Chiesa ambrosiana e il più grande vescovo della Riforma cattolica, da lui perseguita con un’attività pastorale infaticabile, che ha lasciato tracce indelebili in ogni settore della vita cristiana.

Il cuore di san Carlo è custodito a Roma dal 1613, grazie alla fortissima pressione che la prestigiosa Arciconfraternita dei Lombardi, molto attiva nell’Urbe a quei tempi, aveva esercitato sull’assai recalcitrante arcivescovo di Milano Federico Borromeo, cugino di Carlo. Che certo, non voleva privare Milano di un tale tesoro.

D’altra parte, forte fu il legame tra Carlo Borromeo e Roma. Da quando, giovanissimo, divenne l’«occhio destro» – come amava definirlo – di papa Pio IV, suo zio, il quale gli affidò il controllo dell’amministrazione pontificia e lo fece amministratore dell’arcidiocesi di Milano.

Compiti che svolse con tanta cura pastorale da portarlo, in breve tempo, a diventare cardinale e ad assumere l’incarico di Segretario di Stato. Una porpora arrivata quasi per caso, tanto che, alla morte del fratello, lo zio Papa gli consiglia caldamente di abbandonarla per prendere moglie e dare una discendenza alla nobile casata dei Borromeo, così da evitarne l’estinzione. Ma Carlo rifiuta, per continuare ad assolvere quel compito di rinnovamento della Chiesa che sapeva gli era stato affidato dal Signore.

Come arcivescovo di Milano continuò comunque ad assolvere missioni diplomatiche per conto del Papa e, alla sua morte, fu attivo elettore del successore, Pio V (poi proclamato santo), al quale chiese di sollevarlo dagli incarichi romani, i cui relativi benefici vennero usati per fondare diverse opere pie nell’urbe.

Poté così dedicarsi con tutte le sue forze alla sua nuova diocesi, quella Milano nella quale venne subito indicato come “alter Ambrosius”, spendendosi fino alla fine per attuare le riforme chieste dal Concilio di Trento e per la cura del gregge a lui affidato, al quale si dedicò con particolare sollecitudine durante la peste che flagellò la città del biennio 1576-77. Uscito minato nella salute in quest’opera di conforto degli ammalati, morì pochi anni dopo, il 3 novembre del 1584.

Il cuore di san Carlo arriva a Roma

Il legame tra il Borromeo (proclamato santo il 1 novembre 1610) e Roma doveva riallacciarsi definitivamente qualche anno dopo, quando, nel giorno di tutti i Santi del 1613, da Milano, la reliquia del suo cuore giunse nella basilica di Santa Maria del Popolo «posta in una scattola, serrata in diligenza con sigilli dell’Arcivescovado per volere di Dio» annota il “Rever. Sig. Patritio Fattorio di Torrita, Cittadino Romano, & Dottor di Leggi” nella sua Ampla, et diligente relatione de gli honori fatti al cuore di san Carlo.

Un anno dopo, esattamente il 22 giugno del 1614, il cuore del gran lombardo fu traslato da Santa Maria del Popolo alla chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso.

Il corteo si mosse da piazza del Popolo, per via di Ripetta, a piazza Nicosia. Dopo il palazzo “dell’illustrissimo Cardinale Bandino” la processione proseguì verso il Corso; si spostò a Palazzo Borghese, poi a piazza San Lorenzo in Lucina; oltrepassò il Palazzo degli Ambasciatori di Spagna, il Palazzo del Cardinale Borgia, e, infine, giunse percorrendo il Corso, alla chiesa di San Carlo.

Il giorno prima della grande festa in onore di san Carlo  «si fasciarono… i travi di verdura» e anche le mura «d’ambi le parti» vennero coperte «di belle, & ricche tappezzerie». In particolare quelle «de Signori Borghesi» con «l’Historia di Sansone e altri quadri di belle immagini di Santi» e «riccami artificiosi». Vennero eretti altari, con lumi, fiori e argenterie. E di quando in quando «vedean sorger fontane con belle verdure odorifere».

Non potevano mancare gli archi, cinque in tutto, «vagamente fabricati da Festaiuoli, con l’iscrittioni, & pitture». Specialmente l’ultimo arco, il quinto del percorso, davanti alla porta della chiesa «era magnifico e di bello artificio, sendo stato disegnato dal Sig. Honorio Longo Eccellente Architetto in questa città, del quale è anco disegno la Chiesa» (lo stesso Onorio Longhi amico personale del Caravaggio).

Insomma, un vero trionfo, in cui tutta la città diventava lo scenario del ritorno glorioso di san Carlo all’urbe.

Il giorno della traslazione, a capo di tutta la processione andarono le guardie svizzere, i trombettieri del Popolo Romano, i membri della confraternita dei Lombardi, vestiti di sacchi turchini e portando lo stendardo di sant’Ambrogio. E ancora trentasei giovanetti vestiti da angeli, che « havevano le sue corone gioiellate, capigliae dorate, ale di penne di vari colori… i primi dodici portavano nelle mani mazzi di gigli, altri aste, scettri, incensieri d’argento… altri una targhetta con imprese del cuore in laude del Santo. Fra tutte queste schiere di angeli c’erano otto de più eccellenti soprani di Roma, che spesso repeteano in soavissimo canto cori da buon Poeta composti: “in vero nel sentir in Angelica melodia sì dolci nomi di Carlo, Roma, Cuore, e Borromeo”, si muovevano, & intenerivano i cuori de gli ascoltanti ad amorissime, & gratissime lagrime».

Seguiva la croce dei frati conventuali di san Francesco, i padri riformati di sant’Agostino, gli alunni del collegio germanico. Poi, lo stendardo con l’immagine di san Carlo vestito da cardinale che «stava in atto  che riguardava il Cielo di dove li veniva verso il Popolo, significandoci l’amor, che aveva di Dio, & la carità verso il prossimo, & mostrava tanto affetto, che sforzava tutti à maggior divotione».

E quando sfilò il reliquiario contente il cuore del santo «si buttorono fiori da tutte le finestre della strada… ma più odorati fiori erano à Dio quelli che nel passar del santo Cuore si sentivano di compuntione, e devotione battendosi, quasi tutti in ginocchioni, il petto con acclamationi & invocationi al Santo, e ne furono veduti molti pianger dirottamente di amorosa tenerezza».

E anche le monache di clausura di Santa Susanna alle Terme vollero partecipare alla grande festa: «fecero ancor esse la processione di dentro con molta devotione invocando il Santo per lor protettione».

Durante tutta la settimana, dopo che la reliquia fu posta sull’altare della chiesa di San Carlo, le strade alle porte di Roma si affollarono di pellegrini, sia di giorno che di notte, incolonnati pazientemente alla volta della reliquia. Tanto che «pareva che si dovesse aprire l’Anno Santo, giorno in vero santo… moltissimi nobili andavano scalzi à visitare la santa Reliquia».

Di grazie e di miracoli

Una grande gioia che il Signore accompagnò con i suoi miracoli. «La Maestà di Dio» – così chiude l’Ampla et diligente relatione del prezioso cronista – «si è mostrata sopra tutti corrispondente con sue gratie divine à questa festa, né lascia tuttavia occasione di mostrarci quanto li sia grato l’onor, che si fa al Santo, & le sue Reliquie, che come hò detto sopra, par che per mezzo di questo Santo Cuore, voglia l’indurati nostri cuori far molli, & camei in contrittione, & devotione; & in oltre verificarlo con miracoli, che si son veduti».

Come la piccola grazia accaduta a un cocchiere che, investito e travolto da una carrozza proprio nel momento in cui la Reliquia lasciava la chiesa di Santa Maria del Popolo, «si levò in piedi nettandosi gl’occhi, come se dal letto si fosse rizzato senza haver mal veruno».

 

Ps. Per chi volesse, rimandiamo a un Notes che abbiamo scritto come una sorta di corollario a questo articolo.

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