11 Marzo 2013

A mio padre

Tempo di lettura: 2 minuti

Se mi tornassi questa sera accanto

lungo la via dove scende l’ombra

azzurra già che sembra primavera,

per dirti quanto è buio il mondo e come

ai nostri sogni in libertà s’accenda

di speranze di poveri di cielo,

io troverei un pianto da bambino

e gli occhi aperti di sorriso, neri

neri come le rondini del mare.

 

Mi basterebbe che tu fossi vivo,

un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.

Ora alla terra è un’ombra la memoria

della tua voce che diceva ai figli:

«Com’è bella la notte e com’è buona

ad amarci così con l’aria in piena

fin dentro al sonno». Tu vedevi il mondo

nel plenilunio sporgere a quel cielo,

gli uomini incamminati verso l’alba.

 

Alfonso Gatto

Questi versi di Alfonso Gatto (1909-1976) cominciano con un periodo ipotetico dell’irrealtà. Il poeta ha un desiderio che sa inattuabile: il ritorno del padre, scomparso da tempo. Vorrebbe parlargli, e raccontargli – come farebbe, tra lacrime e risa, un bambino – le proprie speranze, adesso destate da un primo indizio di primavera che sembra voler indugiare ancora un po’ nella sera e fare compagnia. Vorrebbe condividere con lui, proprio come faceva da ragazzino, anche il sentimento di paura che il buio del mondo certe volte incute. E in lui rifugiarsi, a lui chiedere aiuto.

Un sogno è il ritorno del padre vivo, ma vivo è il ricordo delle sue parole stupite di fronte all’incanto del creato: «Com’è bella la notte e com’è buona…».

Gatto fu scrittore e pittore. E occasionalmente anche attore (sua è la parte dell’apostolo Andrea nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini). Ma soprattutto «era fatto di poesia e per la poesia», scrisse Carlo Bo. «Aveva una varietà d’interessi intellettuali (come conferma l’apporto delle sue collaborazioni)», ha osservato il critico Stefano Crespi: «Ma la poesia rimaneva una condizione di origine: il segno e il sogno di una lontananza».

Segno e sogno di una lontananza irrecuperabile sostanziano questa lirica: «Un uomo vivo col tuo cuore è un sogno». Una presenza amica e paterna – rifugio e guida – ha segnato la vita in giorni ormai lontani. Quel grande amore è ricordato nel gesto grazioso e delicato di un padre che suggeriva ai figli la bellezza della creazione. Ora quell’uomo è solo l’ombra di un passato tra i malinconici verbi di un periodo ipotetico dell’irrealtà.

Ma qui la bellezza della creazione è coniugata ancora all’indicativo presente: «Com’è bella la notte e com’è buona…». E allora hai la sensazione che solo questi verbi al presente siano in grado di descrivere il miracolo che muta l’irrealtà in possibilità.

La forma sintattica rimarrebbe la stessa. Ma la sostanza sarebbe completamente diversa.

 

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