7 Giugno 2013

Le armi chimiche: da Gheddafi ad Assad

Le armi chimiche: da Gheddafi ad Assad
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Molto si è parlato degli ordigni di distruzione di massa in possesso di Saddam, mai esistiti. Ma serviti comunque allo scopo di iniziare una guerra per abbattare il regime iracheno. Si parla molto in questi giorni dell’uso di armi chimiche in Siria. Sarebbero state usate, accusa la Francia, da Damasco. Nessuna certezza. Certo è che l’allarme si autoalimenta rimbalzando da una cancelleria Occidentale all’altra, da un giornale all’altro, riecheggiando nella parte del mondo arabo che sostiene i miliziani anti-Assad.

Lo spettro dell’uso di armi chimiche era stato alimentato anche al momento della guerra libica, come incentivo ulteriore a un intervento Nato a sostegno dei rivoltosi.

Come si sa, il 16 febbraio inizia la ribellione contro il Colonnello Gheddafi. Il 19 marzo, su pressione francese, ha inizio l’intervento delle forze Nato (e del Qatar… corsi e ricorsi storici). Pubblichiamo un articolo di Repubblica firmato da Daniele Mastrogiacomo, uno dei tanti – non si tratta di criminalizzare nessuno, perché ne hanno parlato diversi giornalisti in altrettanti giornali – , che paventava l’uso di armi chimiche da parte del Colonnello, pubblicato il 6 marzo; una decina di giorni prima, quindi, dell’intervento Nato in Libia. Come si sa, Gheddafi non ha mai usato questo tipo di armi…

 

 

Lo spettro delle armi chimiche “Gheddafi potrebbe usarle”

 

Timori anche per un reattore vicino alla capitale, vulnerabile in caso di bombardamento. La Libia doveva svuotare gli arsenali nel 2003, ma non è certo che lo abbia fatto.

 

 

L’Aiea, l’Agenzia Onu per il nucleare, è preoccupata. Non si fida di Gheddafi: l’isolamento diplomatico, commerciale, le fasi alterne delle battaglie potrebbero spingerlo a qualche gesto estremo.
A tirare fuori le armi chimiche e usarle durante i bombardamenti. Lo avrebbe già fatto in Ciad nel 1986. Il Colonnello ne esclude l’utilizzo. Due settimane fa, nei primi giorni di guerra, si era affrettato a smentire ogni progetto stragista: “Potrei ricorrere anche al gas mostarda. Ma non lo farò, non ucciderò il mio popolo”. La frase ha lasciato perplessi gli ispettori di Vienna. Si sa che il leader libico nel 2003 ha accettato di svuotare i suoi arsenali con le armi di distruzione di massa. Ma questa dichiarazione, più che rassicurare, suona come una minaccia.

Nel suo tipico linguaggio, Gheddafi ricorda agli ex nemici, diventati poi amici e adesso di nuovo avversari, che ha ancora armi nascoste. Il rollback, il grande piano per la distruzione di 25 tonnellate di senape di zolfo, di 3.500 munizioni cariche di gas Sarin e Soman, di 300 missili Scud C a lunga gittata, è stato ultimato nel 2007. Ma nessuno, oggi, è in grado di garantire che tutto sia stato eliminato. Anzi, qualcuno giura il contrario. L’ex ministro della Giustizia libico Musatafà Abdel Jalil, oggi alla guida del Consiglio nazionale dei rivoltosi, lo ha denunciato chiaramente: “Gheddafi possiede ancora grosse scorte di armi chimiche. Sicuramente il gas nervino, forse la stessa antrace, e temiamo una forma geneticamente modificata di

 

vaiolo”. Il direttore generale dell’Aiea, Yukiya Amano, si è subito attivato. Ha chiesto l’assistenza dei satelliti militari e ha cominciato a osservare i siti sensibili. In un documento da poco presentato al board dell’Agenzia, si indicano i pericoli di un gesto estremo del Colonnello.

Gheddafi ha ancora molte scorte di precursori chimici. Cloroetanolo, solfuro di sodio, tricloruro di fosforo e cloruro di tionile. In parte li ha importati prima delle sanzioni del 1989; in parte li ha prodotti a Rabta, un complesso industriale a 65 chilometri a sud-ovest di Tripoli spacciato per una fabbrica farmaceutica. Le ispezioni Usa e Gb scoprirono che dietro le medicine per l’Aids e la tubercolosi si nascondeva il più grande centro di produzione di nitrite di tutto il mondo arabo. Saltarono fuori migliaia di tonnellate di gas senape.
Furono sequestrate e distrutte. Per superare le diffidenze di Bush, che non voleva abolire l’embargo, Gheddafi chiese l’aiuto di Blair; lo ottenne e in cambio svelò che nell’oasi di Sebha e a Tarhunah c’erano ancora due fabbriche della morte, smantellate da poco. Centinaia di macchinari giacevano abbandonati in mezzo al deserto. Gli ispettori rimasero di stucco: Gheddafi era riuscito a raggirarli nonostante tre anni di ispezioni.

Ora cresce la diffidenza. L’Aiea è convinta che in Libia non ci siano più armi di distruzione di massa. Ma non sa nulla dei precursori chimici. Usati con le bombe fanno male, assemblati diventano pericolosi. E poi c’è il piccolo reattore di Tajura, tra Tripoli e Al Kums. C’è dell’uranio 235 arricchito al 20 per cento: troppo poco per un ordigno. Ma se venisse bombardato o fatto saltare in aria, un’area di cento chilometri sarebbe contaminata dalle radiazioni.

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