11 Luglio 2025

Le trattative su Gaza e la fine della minaccia atomica iraniana

di Davide Malacaria
Le trattative su Gaza e la fine della minaccia atomica iraniana
Tempo di lettura: 4 minuti

Nessuna novità sul fronte di Gaza, dopo che il viaggio di Netanyahu negli Stati Uniti sembrava dover accelerare le trattative. I negoziati sono ancora in corso e c’è solo da attendere, mentre la mattanza dei palestinesi prosegue a ritmo sostenuto. L’unico cenno interessante sul punto è l’articolo che oggi campeggiava in primo piano sul New York Times dal titolo: “Come Netanyahu ha prolungato la guerra a Gaza per restare al potere” (foto in apertura).

Un’articolo lunghissimo e molto ben documentato, firmato da tre autorevoli  cronisti di stanza in Israele, che ricostruiscono nel dettaglio, in base alle testimonianze di 110 funzionari israeliani, americani e arabi che hanno lavorato a stretto contatto con Netanyahu, come questi abbia sabotato tutte le trattative su Gaza esperite finora.

Un vero e proprio segnale dell’establishment Usa – per una volta allineato con Trump nel tentativo di forzare Israele alla tregua – volto a far capire a Netanyahu che, se le trattative falliranno anche stavolta, gli sarà più difficile dare la colpa ad Hamas. Non che Netanyahu si spaventi per cose del genere, ma dovrà tenerlo in considerazione.

A margine, qualcuno ha notato come l’atterraggio dell’aereo di Netanyahu in America abbia coinciso con l’annuncio ufficiale della chiusura del caso Epstein, il miliardario che gestiva, per conto dell’intelligence israeliana e americana, una rete di pedofili dell’establishment Usa dandogli in pasto creature innocenti.

Una mossa che ha spaccato il sostenitori di Trump che chiedevano la pubblicazione dei documenti che incastravano i potenti in questione, ma che taluni di essi interpretano come una trovata del presidente Usa per un do ut des: chiusura del caso in cambio del sostegno sulla pace a Gaza. Ci limitiamo a prendere atto della coincidenza e a riferire.

In attesa degli sviluppi delle trattative su Gaza, va ricordato che, nella sua visita americana terminata ieri, Netanyahu intendeva rilanciare la questione del nucleare iraniano, rimasta in sospeso nonostante l’attacco americano del 22 giugno.

A tenere viva la spinta per riaprire le ostilità in un futuro più o meno prossimo, la querelle sull’efficacia dell’attacco, cioè se, nonostante le bombe Usa, l’Iran avesse ancora le capacità per fabbricare l’atomica o meno (mera fumisteria, ché Teheran non ha mai perseguito la Bomba, ma si sa che in queste cose la realtà conta nulla).

Ma, almeno su questo dossier, Netanyahu sembra aver ceduto a Trump che, col suo coup de théâtre fatto di bombardieri invisibili, fuochi artificiali e proclami di vittoria roboanti quanto immaginifici, ha deciso che la questione è chiusa in via provvisoriamente definitiva.

Infatti, in un’intervista rilasciata a Foxbusiness, Netanyahu si è detto convinto che l’Iran non ha intenzione di costruire l’atomica, dal momento che la sua leadership sarebbe cosciente che la potenza congiunta israelo-americana si sarebbe nuovamente scatenata per impedirlo.

Netanyahu says Iran will abandon nuclear program after US-Israeli strikes: 'they're afraid'

Certo, per non smentire le rivelazioni che lui stesso aveva sollecitato a propalare, ha aggiunto che l’Iran è riuscito a nascondere sottoterra una parte dell’uranio arricchito, ma specificando che ciò non è una minaccia perché “l’uranio arricchito non è sufficiente per costruire bombe atomiche. È un componente necessario”, ha specificato, “ma non sufficiente”.

Dal 1992, da quando, allora semplice parlamentare, iniziò la sua ossessiva campagna sulla minaccia dell’atomica iraniana, che già in quella data diceva che fosse di prossima fabbricazione, è la prima volta che Netanyahu non brandisce tale fantasmatica minaccia per evocare una jihad Usa contro Teheran. Un evento a suo modo storico… Almeno su questo dossier, Trump ha segnato un punto a suo favore.

The history of Netanyahu’s rhetoric on Iran’s nuclear ambitions

Sempre per quanto riguarda la contesa Iran – Stati Uniti, è di interesse un articolo di Mk Bhadrakumar su Indianpunchline, il quale scrive che l’attacco pirotecnico quanto concordato degli Stati Uniti ai siti nucleari iraniani ha avuto come scopo e come esito quello di resettare i rapporti tra i due Paesi, sanando la ferita aperta dalla crisi degli ostaggi americani del ’79 – ’80 e che, al di là delle usate schermaglia verbali, Teheran e Washington sarebbero in procinto di ripristinare le relazioni.

Lo dimostrerebbe l’intervista del presidente iraniano Masoud Pezeshkian all’anchorman Tucker Carlson e il parallelo articolo del ministro degli Esteri Abbas Araghchi sul Financial Times, ambedue attenti ad attribuire la responsabilità della guerra contro il loro Paese solo a Israele, con gli Usa che sarebbero stati “manipolati” dall’alleato mediorientale (tesi condivisibile, anche se riteniamo che Trump non sia caduto nella trappola e che anzi abbia usato la crisi per tagliare le unghie a Israele, vedi Piccolenote).

Trump e il cessate il fuoco Iran-Israele

Al di là della prospettiva delineata da Bhadrakumar, la parte più interessante del suo articolo è quella riguardante il ruolo dell’Arabia saudita nel mediare tra Iran e Stati Uniti: “Riyadh, su richiesta di Teheran, ha assunto un ruolo importante, usando la sua influenza sull’amministrazione Trump per evitare la forza militare in favore della via politica e diplomatica nell’approccio all’Iran: Pezeshkian ha parlato personalmente con il principe ereditario Mohammed bin Salman e successivamente, negli ultimi giorni, il principe Khalid bin Salman, ministro della Difesa saudita, ha fatto la spola tra Riad, Teheran e Washington”. 

“La mediazione saudita ha raggiunto l’apice nell’incontro segreto tra il principe Khalid e Trump alla Casa Bianca del 3 luglio nel quale si è parlato della de-escalation con l’Iran e a seguito del quale il principe saudita ha incontrato il Comandante dell’esercito iraniano. Araghchi ha poi visitato Riyadh il 9 luglio e ha incontrato sia il principe Mohammed che il principe Khalid per esprimergli la gratitudine e l’apprezzamento di Teheran. A quanto pare, Trump, tramite il principe Khalid, aveva assicurato che non ci sarebbero stati ulteriori attacchi all’Iran”.

“L’indignazione araba per la guerra israeliana a Gaza – commenta Bhadrakumar – e la diffidenza di Riyadh nei confronti di Israele, perché potenza sempre più militarista e destabilizzante, hanno avvicinato Arabia Saudita e Iran più che mai nella storia recente”. Di interesse, infatti.

 

Piccolenote è collegato da affinità elettive a InsideOver. Invitiamo i nostri lettori a prenderne visione e, se di gradimento, a sostenerlo tramite abbonamento.