22 Settembre 2020

Le amministrative e il Quirinale

Le amministrative e il Quirinale
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In genere non commentiamo la politica italiana, facciamo uno strappo per quanto avvenuto ieri perché ha un aspetto di certa rilevanza.

Certo, e qui siamo nel campo della politica più stretta, c’è del bizzarro in quel che avviene ai due Matteo, Salvini e Renzi, che in questa elezione hanno confermato quella comunanza di destini che tanti gli accreditano, avendo ambedue conseguito  un risultato non all’altezza delle loro aspettative.

Caso peculiare, le brutte notizie sono state comunicate loro nella memoria dell’apostolo San Matteo, coincidenza che certo speravano più propizia, soprattutto il leader leghista che della fede ha fatto bandiera. Così è la vita, che spesso riserva coincidenze singolari, pur nelle loro banalità.

Certo, il Matteo leghista può consolarsi con l’exploit annunciato di Zaia in Veneto, ma forse no, se vero quel che scrivono tanti giornali, secondo i quali in ambito leghista si vorrebbe il governatore del Veneto al suo posto.

Uno sviluppo al quale Zaia finora avrebbe resistito: vecchia guardia, quella della Lega di Bossi, che la politica la sapeva fare, dato che col 4 per cento ha avuto un peso sulla politica italiana che l’attuale non ha.

Forse, se invece di metterlo in un angolo, Salvini l’avesse scelto come consigliere al posto degli attuali, la sua avventura politica avrebbe avuto maggior fortuna. Ma il rigetto del passato non è caratteristica della sola Lega, dato che l’affannosa ricerca del nuovo che avanza caratterizza non poco l’attuale politica.

Per l’altro Matteo resta la consolazione di poter rimanere in Parlamento nonostante la sua parabola politica sia ormai conclusa in parallelo alla prematura morte della sua “Italia viva”.

Amministrative e politiche

Al di là delle spigolature, e qui andiamo al tema che interessa, quel che sembra doversi sottolineare è che a queste elezioni amministrative, come peraltro accade da anni, è stata data una valenza alta, dato che si voleva che da esse dipendesse il destino del governo.

È il portato di una politica che vive di una lotta continua, destino al quale l’Italia è stata consegnata dalla rivoluzione colorata riuscita a metà, ma non per questo meno pervasiva, degli inizi degli anni ’90, che ha avuto nel referendum sul maggioritario propagandato da Mariotto Segni, nella strage di Capaci e in Tangentopoli i suoi punti nodali.

Una parentesi che resta aperta e che ha reso il nostro Paese preda di una destabilizzazione permanente.

Nella vituperata prima repubblica era ovvio che le amministrative erano tutt’altro dalle elezioni politiche. Tanto che le prime erano più che spesso vinte dall’opposizione che faceva riferimento al partito comunista, ma con scarsa o nulla conseguenza sul governo e sul sistema, che restava, nelle sue dinamiche di fondo, stabile.

Una stabilità garantita dall’assidua ricerca di convergenze – o compromesso, parola oggi tanto vituperata – tra le forze politiche, nonostante le distanze spesso abissali, perché ideologiche, tra le stesse.

Non si tratta di auspicare un ritorno al passato, ma di sperare che la parentesi aperta negli anni ’90 vada, prima o poi, a chiudersi.

Prospettiva Draghi

A sperare in una sconfitta pesante delle forze di governo in queste amministrative non erano solo le forze politiche di destra, che legittimamente sperano di prendere il timone dell’Italia, reputandosi, a torto o a ragione, migliori nocchieri degli attuali, ma anche quanti speravano in un ricambio del Parlamento che desse garanzie sul futuro quirinalizio di Mario Draghi.

Non è un mistero che tanti ambiti, italiani e non, abbiano trovato convergenze su tale prospettiva, basta vedere il grande risalto, novello evangelo, che ebbe il suo vacuo discorso estivo sui media italiani (Corriere e Stampa, ad esempio, lo pubblicarono integralmente).

Il punto è che tali (potenti) ambiti sanno perfettamente che l’attuale Parlamento non offre garanzie in tal senso: la candidatura di Draghi al Quirinale, destino manifesto già da molti anni (dai tempi cioè della crociera sul Britannia), rischia di non trovare consensi adeguati tra gli attuali parlamentari.

Da qui la spinta per un ricambio del Parlamento stesso che, al di là delle contrapposizioni politiche, possa offrire maggiori garanzie all’avventura dell’ex governatore della Bce.

Forse una mera illusione, dato che ad esempio Giorgia Meloni non accolse l’ipotesi di un governo Draghi quando essa si profilò all’orizzonte nel marzo scorso (ipotesi, peraltro, allora elegantemente rifiutata anche dall’interessato, perché il passaggio a Palazzo Chigi, con i grattacapi conseguenti, potrebbe nuocere all’ascesa al colle più alto).

Ma, speranza o illusione che fosse, questo era il grande gioco di fondo che sottostava alle elezioni amministrative, al di là delle lotte politiche incrociate sui destini delle singole Regioni, dei partiti e del governo. D’altronde, la politica non è solo attualità, ma anche prospettiva, dove spesso la seconda è più importante della prima.

Nonostante la battuta d’arresto, la partita, che si gioca a vari livelli, resta aperta. I terribili giorni del Quirinale sono ancora lontani e tanto può ancora accadere.

 

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