3 Agosto 2025

Carestia a Gaza: l'ecatombe si approssima

di Davide Malacaria
Carestia a Gaza: l'ecatombe si approssima
Tempo di lettura: 5 minuti

L’inviato di Trump Steve Witkoff e l’ambasciatore Usa in Israele Mike Huckabee, dopo la visita in Israele, con annessa conversazione con Netanyahu, hanno visitato uno dei quattro centri per la distribuzione di aiuti gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) presso il corridoio di Morag. Scopo della visita, mettere a punto un piano made in Usa per far fronte alla carestia indotta dalle restrizioni israeliane.

Due criticità in questo. Anzitutto il fatto che, essendo corresponsabili di questa ecatombe tramite la loro GHF, gli Usa dovrebbero lasciare fare ad altri, meno conniventi con Tel Aviv e più capaci. Il secondo è che appare difficile che un immobiliarista come Witkoff possa porre rimedio a una carestia, che non si risolve solo inviando più cibo (per inciso, neanche gli aiuti paracadutati via aerea, benché benvenuti, possono farvi fronte).

Per capire quanto ciò sia errato e quanto sia complessa la situazione basta leggere un articolo di Haaretz che lo spiega fin dal titolo: “La pasta non servirà a niente. Gaza è sull’orlo di un aumento esponenziale delle morti per fame”. A lanciare questo allarme non è un semplice cronista, ma Alex de Wall, il più autorevole esperto di carestia del pianeta.

Anzitutto la situazione attuale: “L’ONU è molto prudente nel dare i dati e i numeri [sulla malnutrizione e sui decessi] sono sospettosamente bassi. Uno dei motivi è che lo screening è stato effettuato solo in aree limitate, dove è possibile operare. Non sappiamo quali siano le condizioni dei bambini a cui non è stato possibile accedere. Quindi quei dati non sono in realtà così gravi come ci si aspetterebbe che fossero in queste circostanze“.

“Abbiamo la registrazione delle persone a cui è stata diagnosticata la malnutrizione, causa poi riportata nei certificati di morte. Ma per ogni bambino che muore per malnutrizione nella maggior parte dei casi – e qui sarò molto prudente – ce ne sono molti di più”. Anche perché tanti decessi per patologie registrati come tali sono in realtà da ascrivere alla malnutrizione che li ha causati. Non sappiamo quanti siano tali decessi, aggiunge de Wall, ma “sappiamo per certo che il numero dei morti causati della malnutrizione [reso pubblico dall’Onu] non è il numero totale”.

Né il fatto che a Gaza circoli del cibo, anche se scarso, e che vi siano persone che godano di una relativa buona salute, peraltro davvero poche, esclude lo status di carestia. Infatti, nelle situazioni di carestia, spiega de Wall, “per ogni persona che soffre atrocemente e muore di fame, se ne vedono altre che sembrano godere di una salute abbastanza buona. Questo è perfettamente normale e prevedibile durante una carestia”.

Il punto è che “in tutte le carestie, a soffrire è la parte della popolazione più povera e vulnerabile. Ed è la parte meno visibile di tutti i set di dati, perché è difficile da raggiungere. In queste circostanze, se si conduce un’indagine sul consumo, sulla disponibilità e sull’accesso al cibo, si noterà che quelli che non vengono ricompresi nell’indagine stanno peggio di quelli che vengono valutati”.

“Ecco perché osserviamo altri indicatori, come quelli sociali. Si possono monitorare i mercati, vedere quali sono i prezzi e le quantità di cibo. Si tratta di un indicatore molto forte. E l’indice dei prezzi e la disponibilità di cibo a Gaza sono profondamente allarmanti. Ciò che gli indicatori sociali ci dicono è che questa crisi sta entrando in una nuova fase“.

“[…] Nelle carestie più gravi si assiste dapprima a un andamento lineare, poi si arriva a un punto di rottura e a un aumento esponenziale [dei decessi]. È piuttosto raro”, continua, spiegando che si tratta di qualcosa a cui hanno assistito solo gli operatori più anziani, che hanno lavorato in gravi carestie come quella che colpì “l’Etiopia nel 1984, o il Biafra negli anni ’60: improvvisamente un’intera popolazione cambia status e la situazione si aggrava notevolmente”.

La conseguenza è il collasso sociale. La struttura della comunità si disintegra: le persone perdono quella fondamentale reciprocità sociale”. Questi segnali, suggerisce, sono visibili a Gaza. “E una volta che si entra in quella fase, non solo aumentano i tassi di mortalità, ma la società viene risucchiata in un vortice“.

Così veniamo alla possibilità che gli Stati Uniti realizzino un piano per aumentare l’ingresso di cibo nella Striscia. Anzitutto, va cambiato il sistema di distribuzione. Attualmente, spiega de Wall, “è come stare in riva a uno stagno e gettare il pane alle anatre. Alcune lo riceveranno e altre no. Quando [i dirigenti della GHF] dicono di aver fornito più di 2 milioni di pasti in un giorno, non significa che 2 milioni di persone hanno mangiato. Non significa che i più deboli, i più disperati, abbiano ottenuto quel cibo. Il cibo è stato dato a chi poteva riceverlo. Non sappiamo se sia stato poi saccheggiato” o altro.

“La cosa più importante è l’accesso al cibo di quanti stanno in fondo alla scala sociale”. La GHF, afferma de Waal, “può riversare a Gaza tutta la pasta e la farina di grano che vuole. Se non riesce a dimostrare che sta raggiungendo quel 20% più povero, non sta affrontando la carestia… potrebbero aiutare il mercato. Potrebbero sfamare Dio solo sa chi. Potrebbero sfamare Hamas, per quanto ne sappiamo”.

Né portare più cibo risolverà magicamente il problema. Infatti, afferma de Wall, “puoi inondare la casa di pasta e olio da cucina quanto vuoi, ma non aiuterà” le migliaia di bambini affamati. Questi bambini “hanno bisogno di cure specialistiche, negli ospedali. Oppure di organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere che creerebbero centri nutrizionali con infermieri qualificati che utilizzerebbero fluidi per via endovenosa” e altri “alimenti terapeutici”.

“Secondo i protocolli seguiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da Medici Senza Frontiere, il trattamento standard per i bambini affetti da malnutrizione acuta grave richiede un’attenta supervisione medica e, in molti casi, il ricovero ospedaliero. Oltre a speciali liquidi nutrizionali, i pazienti devono ricevere anche farmaci contro i parassiti e malattie varie. L’intero processo può richiedere settimane e, anche dopo la dimissione, i bambini devono rimanere sotto osservazione per un certo periodo”

“[…] Anche se adesso apriste i cancelli, ci sono bambini che non possono mangiare. Anzi, per loro ora è pericoloso mangiare cibi normali. Una delle tante tragedie avvenute alla fine della Seconda Guerra Mondiale è quanto accaduto ai sopravvissuti ai campi di concentramento: i soldati vedevano queste persone [affamate] e gli offrivano le loro razioni facendone morire alcuni perché i loro corpi non riuscivano a metabolizzarle”.

“Abbiamo imparato che la ri-alimentazione è un processo complicato e pericoloso. Quindi, se anche venissero aperti i cancelli agli aiuti, è necessario l’intervento di nutrizionisti specializzati […]. Altrimenti quei bambini saranno a rischio durante i primi giorni di recupero”.

Di interesse anche il cenno nel quale de Wall afferma che, se Israele volesse, il processo per affrontare la crisi richiederebbe tempi brevi. “Se il vostro primo ministro decidesse che ogni bambino di Gaza faccia colazione entro 48 ore, potreste riuscirci. Lo abbiamo visto l’anno scorso: è stato possibile lanciare una campagna di vaccinazione contro la poliomielite che ha vaccinato il 95% dei bambini di Gaza nel giro di pochi giorni”.

Ma allora si trattava di difendere la popolazione israeliana, dal momento che la poliomielite poteva dilagare oltrefrontiera, in particolare perché gli ultra-ortodossi non sono vaccinati…

Quanto alle conseguenze durature di questa carestia indotta, de Wall dice che “è molto difficile valutarle, ma per tanti abitanti di Gaza, in particolare i bambini, l’impronta biologica della fame resterà impressa per tutta la vita. E, nel caso delle bambine, la trasmetteranno ai loro figli. Tutto ciò avrà un impatto sulla prossima generazione”.

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