Trump nella morsa dei neocon

Si stringe la morsa su Trump, che passa in modalità neocon. Lo dice il suo inasprimento rispetto ai due fronti di guerra gestiti da tale ambito, Russia e Medio oriente, con il presidente Usa passato in modalità anti-russa e schiacciato sulle posizioni di Netanyahu sul genocidio di Gaza.
Non è una capitolazione totale, come denota la lamentela sulla fame indotta a Gaza e l’auspicio di un accordo per raggiungere un cessate il fuoco, cenni discordi dalle linee guida del governo israeliano (che procede spedito con il piano per occupare la Striscia e annettere la Cisgiordania). Ma di certo i suoi margini di manovra si sono ridotti, e tanto. I tempi in cui poteva sfidare i costruttori di guerre neocon-liberal sembrano ormai alle spalle (anche se in futuro potrebbe ancora ritagliarsi spazi di libertà, in questo momento non all’orizzonte).
In attesa, e nella speranza, che possa ritrovare in tempi più o meno brevi la semi-libertà perduta, resta che il mondo sta attraversando uno dei periodi più bui della storia moderna, forse il più buio, dal momento che l’Impero è ora nelle mani di una congrega di pazzi scatenati, cioè senza catene, ché rifiutano il senso del limite e sono capaci di tutto pur di conservare il potere conquistato nel momento unipolare. Il genocidio di Gaza è cartina di tornasole più che esplicativa di tale follia, che ricomprende nel suo orizzonte anche la minaccia della guerra termonucleare (l’invio di testate atomiche Usa nel Regno Unito va in tal senso).
A far capitolare Trump, i file Epstein. Sul tema, nel suo tour scozzese, dove ha incontrato il Commissario europeo Ursula von der Leyen, ha ribadito quanto dichiarato in precedenza, cioè che se in quel materiale ci fosse stato qualcosa su di lui, i democratici, che hanno fatto di tutto per eliminarlo, lo avrebbero tirato fuori. E che questi hanno avuto tutto il tempo, sotto la presidenza Biden, per inserirvi documenti falsi su di lui.
Vere ambedue le cose. Ma l’insistenza sulle possibili manipolazioni dei democratici segnala che qualcosa c’è e, anche se frutto di manipolazioni, lo teme. In genere, manipolazioni di tal fatta si basano su elementi reali, qualcosa di labile e non particolarmente criminogeno che, lavorato ad arte come sanno fare certe agenzie, diventa esplosivo.
Non si tratta di scagionare Trump, non siamo i suoi avvocati, solo un ragionamento che risolve l’apparente contraddizione, sia attuale che temporale, dal momento che spiega anche perché Trump abbia brandito la pubblicazione dei file nel corso della campagna elettorale con un’insistenza tale che risulta ora incomprensibile, ché avrebbe vinto anche senza usare quest’arma.
Al di là dei retroscena, resta che i gestori di Epstein, che in passato hanno favorito e usato la sua rete per ricattare i potenti di mezzo mondo, dopo esser riusciti a far calare un velo di oblio sull’incresciosa rete di clienti del miliardario pedofilo, ora brandiscono il caso come un maglio contro Trump (non per nulla, il più scatenato è il Wall Street Journal di Murdoch).
La presa su Trump si evince anche da un piccolo quanto significativo particolare, oltre che dall’adesione alle linee guida geopolitiche neocon: su Truth social Trump si è lanciato in lodi sperticate per il nuovo libro di Mark Levin – “On Power” – punta di diamante dei neocon in ambito mediatico e con il quale hanno incrociato le spade anchorman e politici Maga (peraltro anch’essi, per motivi più che legittimi, chiedono la pubblicazione dei file di Epstein, mettendo ancor più Trump in ambasce).
Le lodi a Levin si alternano al rilancio, sempre sul social di Trump, degli interventi televisivi dell’alfiere neocon sulla contro-inchiesta sul Russiagate ad opera del capo dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard, che sta disvelando come l’atto di accusa contro il Tycoon prestato alla politica, che ha anche innescato un procedimento di impeachment, era frutto di manipolazioni.
Roba nota, ma negata da anni. Un particolare colpisce di tale inchiesta: che la bufala, che altro non era, vede come imputato principale l’ex presidente Barack Obama, laddove i veri protagonisti della manipolazione erano gli stessi neocon – in particolare il senatore John McCain e il Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che fu artefice anche dell‘Ucrainagate – e i liberal di Hillary Clinton.
Il fatto è che Obama da tempo è l’uomo più odiato da Netanyahu e dai neocon, da quando cioè stipulò l’accordo sul nucleare con l’Iran. Non è gente che perdona e faranno di tutto per mandarlo in prigione, come illustrato da un video Fake di Trump, il quale si è costretto a far finta di ignorare che quanti ora brandiscono la sua contro-inchiesta sono gli stessi che allora confezionarono la polpetta avvelenata, spingendo Obama a prestarsi alla manipolazione.
La nuova stagione di Trump lo vede allineato al genocidio di Gaza, rispetto al quale, almeno ad oggi, al massimo può suggerire qualche variante per evitare eccessivi vulnus alla sua immagine, e la guerra ucraina, dove si registra un cambiamento brusco di toni nei confronti di Putin.
Cambiamento che sembra preludere a una svolta di sostanza. Lo dice l’accordo con l’Unione europea, che oltre a dirimere la questione dei dazi, con l’Europa che ne esce tartassata, ha visto il compimento dell’opera iniziata col sabotaggio del Nordstream 2 ad opera della precedente amministrazione Usa a trazione liberal-neocon, con la Ue vincolata a comprare per miliardi il gas made in Usa, a prezzi ovviamente maggiorati.
Non solo, sarà costretta a investire altri miliardi in armi Usa, ponendo fine alle ritrosie dei Paesi europei rispetto all’esortazione fatta in tal senso da Trump alcuni giorni fa. L’esortazione è diventata vincolo: la Ue comprerà armi che probabilmente invierà in Ucraina, come proposto allora.
Non per nulla, appena firmato l’accordo, Trump ha dichiarato che dà a Putin solo pochi giorni per chiudere il conflitto ucraino, abbreviando il precedente ultimatum di 50 giorni. Probabile che, alla scadenza, oltre a varare nuove sanzioni verrà ripristinato il flusso di armi. Da vedere se si riuscirà almeno a ridurre i rischi di escalation (ma tutto ciò non cambierà le sorti del conflitto, che resta perso).
Insomma, a sette mesi dal suo inizio, il mandato di Trump sembra già finito ed è iniziato il Trump 2.0. Cercherà di sfuggire alla presa, ha dalla sua immaginazione e imprevedibilità, ma ad oggi è così (domani chissà).
Anche Putin ne è consapevole, così ieri ha chiamato il vero dominus attuale della geopolitica imperiale, Netanyahu, che non per nulla alcuni giorni fa ha inviato il suo ministro degli Esteri in Ucraina, la prima visita di un politico israeliano a Kiev dall’inizio della guerra. Lo zar e il premier israeliano si sono confrontati in particolare su Siria e nucleare iraniano, ma è il simbolo che conta, dal momento che da tempo Putin lo evitava.
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