31 Gennaio 2020

Il coronavirus, epidemia globale e, per alcuni, un'opportunità

Il coronavirus, epidemia globale e, per alcuni, un'opportunità
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Per l’Organizzazione mondiale della Sanità l’epidemia da coronavirus è ora “un’emergenza sanitaria di interesse internazionale”. Un passo evitato finora e obbligato dai casi riscontrati in altri Paesi, che però, è bene sottolinearlo a fronte di tanto allarme, sono pochi e senza vittime.

Così l’Oms:  si sono riscontrati “83 casi in 18 paesi. Di questi, solo 7 non avevano precedenti di un viaggio in Cina. C’è stata una trasmissione da uomo a uomo in 3 paesi al di fuori della Cina. Uno di questi casi è grave e non sono stati registrati decessi”.

Una precisazione che non vuole essere una stucchevole sottovalutazione del problema, semplicemente si tratta di mettere le cose al loro posto a fronte di una vera e propria “psicosi coronavirus”.

Detto questo, la situazione in Cina è seria. Così l’Oms nel comunicato ufficiale: in CIna “attualmente sono stati registrati 7711 casi confermati e 12167 sospetti in tutto il Paese. Dei casi confermati, 1370 sono gravi e 170 persone sono morte. 124 persone sono state ricoverate e dimesse dall’ospedale”.

Dove per sospetti si indica un po’ di tutto: chiunque si ammali di bronchite o polmonite è sospetto in questo momento, né può essere altrimenti.

Va da sé che con una popolazione di circa un miliardo di persone, per di più con città che registrano una densità di abitanti notevole, particolare che aumenta le probabilità di diffusione, si tratta di percentuali più che relative.

Per l’Oms, la Cina sta reagendo in modo adeguato

L’Oms ha elogiato le misure prese dalla Cina per affrontare il virus, per prevenirne la diffusione e per la trasparenza con la quale informa i propri cittadini e il mondo.

Ciò per rassicurare a fronte di tante voci allarmanti su presunti insabbiamenti da parte delle autorità cinesi, che nasconderebbero una realtà ben più grave.

Pechino non ha alcun interesse a mentire, anche perché eventuali sforzi in tal senso sarebbero vanificati facilmente (i servizi di informazione dell’Occidente hanno modo di monitorare quanto sta realmente avvenendo), esponendola allo sdegno della comunità internazionale.

“Le misure adottate dalla Cina sono valide non solo per quel paese ma anche per il resto del mondo”, recita ancora l’Oms.

E ancora: “Il Comitato ritiene che sia ancora possibile interrompere la diffusione del virus, a condizione che i paesi mettano in atto misure forti per individuare precocemente la malattia, isolare e trattare i casi, rintracciare i contatti e promuovere misure di allontanamento sociale commisurate al rischio”.

Insomma, è allarme, ma c’è tempo e modo per evitare che l’epidemia diventi globale.

Il coronavirus, per alcuni è un’opportunità

Axios riferisce dei gravi danni collaterali che il coronavirus ha prodotto all’economia della Cina e del mondo, registrando che i mercati vedono una cauta riduzione dei fattori di rischio, passando da uno “sfarfallio di rosso a un color ambra”.

A diminuire i danni per l’economia globale è stato il capodanno cinese. Per questa festa la Borsa cinese chiude per alcuni giorni e così è stato anche quest’anno. La Borsa riaprirà il 3 febbraio, e il mondo si sta attrezzando per ammorbidire l’effetto coronavirus sui mercati globali.

Se abbiamo fatto questa divagazione è anche per registrare le dichiarazioni del Segretario al Commercio degli Stati Uniti Wilbur Ross riguardo all’epidemia: “Credo che tutto questo aiuterà ad accelerare il ritorno del posti di lavoro in Nord America”.

Per inciso, la lotta contro la delocalizzazione delle aziende americane in Cina è stato una dei grandi temi della campagna elettorale di Trump. L’America First prevede che le imprese americane tornino a creare posti di lavoro negli Usa, chiudendo gli stabilimenti aperti in Cina.

Un po’ di cinismo nelle parole di Ross, ma tant’é. Peraltro non è un mistero che alcuni ambiti Usa, che propugnano l’idea di un approccio più aggressivo nei confronti della Cina, stiano alimentando l’allarme globale per mettere il Dragone ancora più in difficoltà.

Il professore e l’Istituto nazionale per la Sanità (Usa)

In questa temperie, si registra un curioso caso di cronaca. Si sa che l’epicentro dell’epidemia, la città di Whuan, ospita un Istituto di virologia, che erroneamente è stato dipinto come un sito per la creazione di armi batteriologiche.

Alcuni media hanno ritenuto ci fosse un nesso tra questo Istituto e l’epidemia. Il Foreign Policy dedica un articolo a tale ipotesi, spiegando che certe ricostruzioni non hanno basi o le hanno ideologiche (per demonizzare la Cina).

Ma resta bizzarra la coincidenza temporale che vede la diffusione del coronavirus e l’arresto da parte dell’Fbi del professor Charles Lieber, presidente del Dipartimento di Chimica e Biologia Chimica dell’Università di Harvard.

Il professore è accusato di lavorare per i cinesi nel programma “Mille talenti”, che prevede l’arruolamento di geni stranieri. Ha infatti collaborato con l’Istituto di virologia di Whuan.

Gli Stati Uniti hanno dichiarato il programma una minaccia alla sicurezza nazionale e il professore di Harvard è accusato di aver taciuto alle autorità la collaborazione. Da cui l’arresto.

Leiber si occupa di nanotecnologie e ha ricevuto diversi finanziamenti dagli Stati Uniti. Ma nel comunicato nel quale l’Università prende atto delle accuse e scarica il suo professore, si legge che “Harvard sta collaborando con le autorità federali, compreso il National Institutes of Health”, cioè l’Istituto nazionale per la Sanità. Curioso, tutto qui.