6 Settembre 2018

La guerra di Mattis

La guerra di Mattis
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James Mattis rimarrà ministro della Difesa: questa la risposta data mercoledì da Trump ai cronisti che gli chiedevano lumi sul destino del generale.

La domanda faceva seguito a un articolo di Josh Rogin, sul Washington Post, che annunciava l’allontanamento del generale.

Woodward vs Trump

Non è la prima volta che sui media americani si dà notizia di una prossima dismissione di Mattis.

A riaccendere la querelle è stato il libro di Bob Woodward, “Fear”, che sta creando grattacapi a Trump ed è al centro di uno scontro feroce (ne parleremo in altra nota).

Nel suo libro, Woodward riferisce che dopo l’ultimo asserito attacco chimico in Siria (Piccolenote) Trump avrebbe dato ordine di uccidere Assad e invadere il Paese.

Nulla importando il comando presidenziale, Mattis avrebbe optato per dei raid punitivi. Scelta che ha evitato lo scontro con i russi, decisi a difendere Damasco.

Questa la rivelazione, ovviamente smentita da Trump e Mattis, che dovrebbe allarmare il mondo sullo squilibrio mentale del presidente e attirare sul ragionevole generale unanimi gratificazioni.

In realtà se tale narrazione mette in cattiva luce il presidente, per Mattis suona come un De profundis.

La scelta di Mattis, infatti, così come descritta da Woodward, sarebbe un vero e proprio tradimento, dato che il presidente è il comandante in capo delle Forze armate.

Un ministro della Difesa può certo suggerire opzioni diverse da quelle immaginate da un presidente in carica, ma non può agire all’oscuro e in contrasto con lo stesso.

Val la pena aggiungere che tale rivelazione era più che importante agli occhi degli avversari di Trump (e Mattis), tanto che è stata oggetto di insistita anticipazione.

E rischia di segnare la fine di Mattis. Infatti, come può restare in carica un ministro della Difesa che disobbedisce al capo in una circostanza tanto rilevante?

Mattis, il sopravvissuto

Mattis era sopravvissuto alla sorte toccata al Consigliere per la sicurezza nazionale Raymond Mc Master e al Segretario di Stato Rex Tillerson.

Scelti da Trump per la sua squadra, tutti e tre erano presto entrati nel mirino dei neocon, dato che la loro inclinazione realista e pragmatica era lontana dall’agenda aggressiva di questi ultimi.

Le manovre neocon avevano ottenuto l’allontanamento di McMaster e Tillerson, sostituiti con figure più in linea con i loro programmi (Bolton e Pompeo).

Restava però Mattis, che nel suo mandato, nonostante gli spazi di manovra limitati, ha dato prova di moderazione.

Dopo la defenestrazione di McMaster e Tillerson, media e cronisti più o meno legati ai neocon hanno iniziato a prospettare al ministro della Difesa un analogo futuro.

Si ripeteva per lui quanto accaduto agli altri due, il cui licenziamento era stato anticipato da indiscrezioni tendenti a metterli in cattiva luce e in rotta col presidente.

Mattis ha tenuto duro. Ma il libro di Woodward poteva essergli fatale. Non è andata così, come da conferma pubblica di Trump.

Ma anche se presumibilmente inventata di sana pianta, tanto è impossibile, la “notizia” della “rottura” Mattis-Trump ormai appartiene alla storia.

E continuerà a riecheggiare. Con esiti incerti per il ministro della Difesa, che potrebbe essere sostituito con una figura prossima ai neocon, come da pregressi.

In tal modo essi avrebbero raggiunto il risultato di accerchiare Trump, così da poterne reimpostare l’agenda.

La notizia della riconferma pubblica di Mattis è riportata dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, indizio della sua rilevanza globale.

È stata invece praticamente ignorata dai media mainstream, come se non avesse alcun rilievo. Indizio che la lotta al ministro della Difesa continua.

 

Ps. Analogie: Bob Woodward e Carl Bernstein con il Watergate fecero cadere Nixon, la cui agenda era stilata da Henry Kissinger. Oggi gli strali di Woodward colpiscono Trump, che deve la sua imprevista fortuna politica allo stesso Kissinger (vedi Piccolenote). Ci torneremo.

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