21 Agosto 2025

Hamas accetta la proposta Witkoff, Netanyahu prende tempo

Hamas accetta la proposta Witkoff, Netanyahu prende tempo
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La decisione di Hamas di accettare l’accordo di pace elaborato da Egitto e Qatar non ha ancora ricevuto una risposta ufficiale da parte di Israele, finora solo indiscrezioni. Nel frattempo, il massacro dei palestinesi prosegue inesorabile, sia a Gaza che in Cisgiordania.

In realtà, una risposta indiretta c’è stata: Israele edificherà un ulteriore insediamento tra Gerusalemme Est e la colonia di Maale Adumim, che taglierà in due la Cisgiordania. Un altro passo, forse decisivo, per impedire la nascita di uno Stato Palestinese, come ha commentato esaltato Bezalel Smotrich, che ha motivato la decisione come risposta alla spinta internazionale per il riconoscimento dello Stato palestinese.

In realtà, a più alto livello, la decisione indica che Tel Aviv prosegue la sua marcia verso l’edificazione della Grande Israele, nella quale non c’è spazio per i palestinesi, né a Gaza né in Cisgiordania.

Così le operazioni nell’area centrale di Gaza proseguono, stringendo ancora di più la morsa sugli stremati palestinesi, sui quali, oltre le bombe e il diuturono stillicidio di omicidi consumati nei pressi dei cosiddetti centri di aiuto incombe lo spettro di un’operazione massiva alzo zero.

Per tornare all’offerta di cessate il fuoco di Hamas, va sottolineato che essa ricalca la proposta avanzata da Stati Uniti e Israele nel giugno scorso, che Hamas aveva accolto apportando alcune modifiche che hanno permesso a Netanyahu di rigettarla.

La sostanza è quella di una tregua di breve termine, 60 giorni, con l’immediato rilascio di 10 ostaggi e la restituzione dei corpi degli ostaggi defunti in cambio della liberazione di prigionieri palestinesi, mentre i rimanenti ostaggi sarebbero rilasciati nei giorni seguenti, nei quali dovrebbero svolgersi negoziati per il futuro di Gaza. Inoltre, Hamas ha accolto i piani avanzati da Israele sul ridispiegamento dell’IDF: non chiede più un ritiro totale, ma parziale.

Dal momento che la proposta ricalca quella di Israele è più difficile per Netanyahu rifiutarla. Ciò in teoria, in pratica ha dimostrato di poter fare quel che vuole. Ma stavolta la pressione che sta subendo si è intensificata. Sia quella interna, che vede le piazze riempirsi di manifestanti che invocano l’accordo, sia quella internazionale, con l’Occidente sempre più critico – a parole – verso il bagno di sangue di Gaza e la carestia imposta ai suoi abitanti (sul punto rimandiamo a un articolo di Claudia Carpinella).

Genocidio che s’intreccia, come avvenuto per altri del passato, con la pulizia etnica, con Israele che continua a sondare Paesi nel tentativo di convincerli a dare accoglienza ai palestinesi che veranno espulsi. Tra i Paesi sondati, l’Indonesia, la Libia, il Sud Sudan (al quale Israele ha promesso in cambio aiuti in medicine, attrezzature sanitarie, depuratori per l’acqua, cose che urgerebbero a Gaza), oltre alla Somalia, sulla quale l’Us air force sta esercitando un anomalo accanimento: ieri “il 58° bombardamento statunitense in quest’anno” (una pressione perché accetti i palestinesi?)

Come accennato, Netanyahu prende tempo, anche perché alle pressioni citate si somma il fatto che la nuova operazione su Gaza non è facile come da propaganda: l’esercito è logorato e i riservisti sono sempre più restii a imbracciare le armi, tanto che si è dovuto ricorrere ad arruolare gli ultraortodossi, finora esentati, i quali stanno protestando ferocemente.

Né sarà facile il confronto con Hamas, come si nota dalle imboscate sempre più frequenti in cui cadono i soldati dell’IDF, segno di un’inattesa resilienza della milizia islamica.

Puzzle complesso, nel quale si è inserita la variabile Benny Gantz, che si è offerto di sostenere Netanyahu con il suo partito nel caso di un accordo con Hamas che determinerebbe inesorabilmente la fuoriuscita dell’ultradestra. Sperare è d’obbligo, ma con il pallino in mano a Netanyahu…

Infine, si può notare una coincidenza temporale: Hamas ha accettato il piano Witkoff subito dopo il vertice di Anchorage tra Putin e Trump. Un caso, ma anche no, cioè è più che probabile che i due presidenti, nel segreto, abbiamo parlato anche di Gaza, escogitando questa mossa per uscire dal tunnel.

Certo, subito dopo il vertice, Trump ha fatto esternazioni più che susseguose in favore di Netanyahu e della sua guerra, ma proprio tale stucchevole blandizia – in cui peraltro ricordava come egli fosse riuscito a liberare alcuni ostaggi (cenno significativo) – potrebbe spiegarsi come una sorta di excusatio non petita per aver osato mettere i bastoni tra le ruote al genocida israeliano.

È evidente che Trump non ha margini di manovra nei confronti di Netanyahu, con il quale pure in passato a volte ha incrociato le spade. I motivi di tale sudditanza sono ignoti.

A margine, come curiosità, accenniamo a un articolo di Ryan Grim su Dropsite, nel quale ricorda come nel libro Clinton Inc: The Audacious Rebuilding of a Political Machine, il direttore del Washington Examiner, Daniel Harper, racconta che Netanyahu, in un incontro con Bill Clinton, gli rivelò che l’intelligence israeliana aveva un video dei suoi incontri intimi con Monica Lewinsky. Sarà colore, ma…

Infine, si segnala che per domani, festa di Maria Regina, papa Leone XIV ha indetto una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Terra Santa, Ucraina e le altre regioni del mondo in preda ai conflitti. Defilato, il papa fa quel che deve, lasciando alla Chiesa universale il compito di parlare più nello specifico.

Citiamo, a mo’ di esempio, quanto ha detto il patriarca cattolico di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, nell’omelia della messa della solennità dell’Assunzione della Beata vergine Maria: “Sembra proprio che questa nostra Terra Santa, che custodisce la più alta rivelazione e manifestazione di Dio, sia anche il luogo della più alta manifestazione del potere di Satana”. Sintesi perfetta.