18 Agosto 2025

Il genocidio di Gaza non è brandito solo della destra israeliana

Il genocidio di Gaza non è brandito solo della destra israeliana
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“Per ogni vittima del 7 ottobre, 50 palestinesi dovevano morire. Non importa se si trattava di bambini. Non per vendetta, ma per lanciare un messaggio alle generazioni future: non c’è niente che potete fare. Hanno bisogno di una Nakba di tanto in tanto, per sentirne il prezzo” della ribellione. Così il generale Aharon Haliva, che il 7 ottobre guidava l’intelligence militare e si è dimesso dopo quel disastro, in un’intervista a un media israeliano.

“È proprio Haliva – commenta Gideon Levy su Haaretz – che è in un certo senso un eroe del centro-sinistra, a delineare il ritratto di un generale genocida. Si dissocia da Bezalel Smotrich, deride Itamar Ben-Gvir e attacca Netanyahu senza riserve, da generale illuminato e progressista qual è. Ma pensa e parla esattamente come loro”.

“In definitiva, sono tutti sostenitori del genocidio. La differenza sta solo tra chi lo ammette e chi lo nega. Nel campo degli illuminati dediti all’auto-adulazione a cui appartiene, Haliva si è rivelato uno dei pochi ad ammettere: abbiamo bisogno di un genocidio ogni pochi anni; assassinare il popolo palestinese è legittimo, persino essenziale”.

“È così che parla un generale ‘moderato’ dell’IDF. Non è come altri [graduati] estremisti” che in questi anni sono balzati agli onori della cronaca per gli orrori disseminati a Gaza.

Haliva, infatti, è “un bravo ragazzo di Haifa e del quartiere residenziale di Tzahala a Tel Aviv”. Le sue affermazioni, aggiunge Levy, non hanno suscitato nessuna reazione da parte dei moderatori del programma, perché “quando un progressista a capo dell’Intelligence militare parla in questo modo, il dibattito se a Gaza si stia commettendo o meno un genocidio, così come sugli obiettivi di questa guerra, si chiude. È stata, dal suo inizio e fino alla sua fine lontana, una guerra per l’annientamento”.

Dato questo quadro, non stupisce che il disegno per prendere il controllo della zona centrale di Gaza sia stato approvato, con l’ultima procedura espletata ieri attraverso la messa a punto definitiva del piano di invasione da parte dell’IDF.

A quanto pare anche la manifestazione oceanica di ieri a Tel Aviv, centinaia di migliaia di cittadini – tanti per un Paese che meno di dieci milioni di abitanti – scesi in piazza per chiedere la fine della guerra, con il corollario di uno sciopero generale che ha paralizzato la nazione, non cambierà nulla.

Lo dicono i commenti di Netanyahu e degli esponenti del suo governo, che hanno accusato la gente scesa in piazza di fare il gioco di Hamas (Timesofisrael), ribadendo la monocorde, monomaniacale, linea propagandistica adottata da Tel Aviv in questo genocidio, che viene applicata in tutte le occasioni, dai dibattiti televisivi alle diatribe di politica interna o sul piano internazionale.

Lo dice il post di Trump su Truth social, nel quale ha scritto: “Vedremo il ritorno degli ostaggi rimasti solo quando Hamas verrà affrontato e distrutto!!! Prima ciò accadrà, maggiori saranno le possibilità di successo”. Dichiarazioni in totale contrasto con quanto affermato dai manifestanti, i quali sanno che l’offensiva porrà fine alla vita dei loro cari, oltre a quella di innumeri palestinesi, e con quanto racconta la realtà.

Ne accenniamo anche per un articolo di Amir Tibon su Haaretz, nel quale si legge che Trump ha “la leva per chiudere la ‘guerra infinita’ di Netanyahu a Gaza”, al contrario di quella ucraina che ha complessità maggiori – dovendo convincere all’intesa i vari protagonisti del conflitto – ma da tempo ha deciso di dare “mano libera” al premier israeliano, con i disastri che sono sotto gli occhi di tutti.

E, però, al di là di queste considerazioni, va registrato che qualcosa si è smosso, come denota la nuova “ondata diplomatica” segnalata dai media israeliani. Un’ondata che ha rotto lo stallo precedente innescando un nuovo tourbillon di contatti tra Paesi arabi, Israele e Hamas.

A tema una nuova base di accordo che nascerebbe da un compromesso tra i precedenti prospetti di intesa elaborati da Israele e Hamas sui quali non si è trovata una convergenza. Mentre scriviamo, Hamas ha accettato il prospetto al ribasso che gli è stato offerto: arduo sperare in una finalizzazione, data la determinazione di Netanyahu e soci, ma la bandiera della speranza non può essere ammainata.

Di interesse anche quanto scrive Jonathan Cook su Middle east eye, secondo il quale la decisione di invadere l’area centrale di Gaza serve a spostare l’attenzione mediatica dai massacri quotidiani che si consumano nelle altre zone della Striscia. Dismesse le “immagini di bambini pelle e ossa di Gaza, che riecheggiano quelle di Auschwitz”, i media si sono focalizzati sulle problematiche connesse a questa nuova campagna.

Vero, com’è vero che la decisione di riconoscere lo Stato palestinese da parte di diversi Paesi è un alibi per coprire le connivenze degli stessi non solo sul genocidio in corso, ma anche sugli anni precedenti, nei quali hanno permesso a Israele di controllare i palestinesi tramite un regime di apartheid e di fare di Gaza un “campo di concentramento modernizzato”, i cui abitanti, tra le altre cose, erano stati messi “a dieta“, come ricorda Cook (per dire come l’attuale strategia della fame, a tanto altro, non sono state inventate ex novo).

Politiche pregresse che hanno goduto del pieno appoggio dei Paesi che ora si indignano a parole ma, che evitano, come scrive il cronista, di prendere decisioni che abbiano un qualche mordente, ad esempio le sanzioni, la rescissione dei rapporti diplomatici e altro.

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