8 Luglio 2025

I negoziati su Gaza e il sisma che scuote il Medio oriente

di Davide Malacaria
I negoziati su Gaza e il sisma che scuote il Medio oriente
Tempo di lettura: 5 minuti

I negoziati per un cessate il fuoco a Gaza sembrano procedere in modo positivo. Così titola il Timesofisrael: “Israele afferma che la svolta sui colloqui di Gaza è vicina dopo l’incontro tra Trump e Netanyahu”. Il sottotitolo recita, che secondo i funzionari israeliani, nella cena alla Casa Bianca i due leader “hanno concordato l’80-90% dei termini della tregua”.

Israel says breakthrough on Gaza talks near after Trump-Netanyahu meeting

Sempre nel sottotitolo si legge che Israele “insiste sulla distruzione totale di Hamas”, che evidentemente è parte di quel che rimane in sospeso, come divergenze restano “sui meccanismi di attuazione [del cessate il fuoco], in particolare sulle clausole relative al ritiro [dell’IDF] e agli aiuti umanitari”, che Hamas vorrebbe non siano monopolizzati dalla Gaza Humanitarian Foundation, l’organismo umanitario genocida che li gestisce attualmente (sono più di 700 i palestinesi uccisi dai soldati israeliani e dalla sicurezza della GHF mentre cercavano di ricevere gli aiuti).

‘Going hungry’: More than 700 Palestinians killed seeking aid in Gaza

Era noto che le parti avevano forti divergenze sul destino di Hamas, sul ritiro dell’IDF da Gaza e sulla distribuzione degli aiuti, ma a stare a quanto dichiarato dal consigliere di Netanyahu Ron Dermer al Timesofisrael “le divergenze si sono abbastanza ridotte”, tanto da poter immaginare che possano essere (forse) superate.

I negoziati tra israeliani e Hamas proseguono a Doha dove a breve giungerà anche l’inviato di Trump Steve Witkoff perché l’accordo venga finalizzato. Lo vuole fortemente Trump che stavolta ha messo alle strette il premier israeliano, impedendogli, almeno finora, di far saltare tutto. Da parte sua Netanyahu sta facendo di tutto per compiacere il suo anfitrione, tanto da candidarlo al Nobel per la pace (evitiamo di commentare…).

Detto questo, anche se alla fine Trump la spuntasse, tutto resta sospeso alla sanguinaria imprevedibilità del premier israeliano, che potrebbe facilmente eludere il passo cruciale dell’accordo in fieri, quello in cui si dichiara solennemente che durante la tregua di 60 giorni si dovrà trattare per arrivare a una pace duratura e che il negoziato dovrà proseguire, insieme alla tregua, se in quella finestra temporale le trattative non avranno conseguito tale esito.

Certo, gli Stati Uniti si sono fatti garanti dell’accordo complessivo, impegnandosi a tenere a freno Israele se intendesse riprendere le ostilità, ma si può ben comprendere quanto precaria sia tale garanzia.

Comunque, ovviamente, è meglio di niente. Darebbe un po’ di sollievo ai palestinesi, nella speranza che duri, anche se il destino che li attende resta durissimo, anzitutto per le condizioni in cui è stata ridotta Gaza, di fatto invivibile se non per i disperati che vi abitano.

Peraltro, nell’incertezza sui contenuti reali delle trattative, si intensificano le notizie di uno sfollamento “volontario” della Striscia, della creazione di un campo di concentramento per ospitarli sulle rovine di Rafah, mentre resta avvolto nel mistero quale forma di governo verrà insediata o chi garantirà l’ordine. Tra le tante variabili in gioco anche quella delle bande di tagliagole, tra cui spiccano i terroristi dell’Isis, assoldate da Tel Aviv per contrastare Hamas, che di certo resteranno sulla scena del crimine, con tutto quel che consegue.

Netanyahu arma milizia Isis contro Hamas a Gaza. Attacco israeliano alla periferia sud di Beirut

Tanta l’incertezza sul futuro, quel che è certo è che Trump sta cercando di allettare Netanyahu a chiudere la guerra di Gaza offrendogli doni. Anzitutto la Siria, che dovrebbe aderire agli accordi di Abramo grazie al nuovo governo formato dai terroristi di fiducia dell’Occidente.

Ciò consentirà a Tel Aviv di avere una grande influenza sul Paese confinante, che però dovrà dividere con quella esercitata dalla Turchia, che vede in tal modo ridimensionato il sogno di fare di Damasco il trampolino di lancio del nuovo impero ottomano per il quale il presidente Erdogan si è tanto profuso nel decennio passato, associandosi alle manovre per rimuovere Assad sia in maniera diretta sia facendo del suo Paese una testa di ponte per le sanguinarie iniziative dei suoi alleati d’Occidente, che hanno scatenato nel Paese le bande di tagliagole ascese al potere.

Oltre alla Siria, Trump vuole offrire in dono a Israele anche il Libano. Ad oggi è davvero difficile immaginare che Beirut possa aderire agli Accordi di Abramo, ancora troppo forte l’influenza di Hezbollah, ma Washington può ottenere un fortissimo ridimensionamento della milizia sciita, che col tempo potrebbe rendere possibile ciò che ora non è.

A tale scopo si sta prodigando l’inviato Usa per il Libano Tom Barrak, che nelle sue continue visite nel Paese dei cedri sta esercitando fortissime pressioni sulla sua leadership politica perché accolga le richieste di Washington, che sono poi di Tel Aviv. Richieste che si concentrano sull’eliminazione di Hezbollah come milizia, che dovrebbe essere disarmata e privata di ogni sostegno, finanziario e militare.

La triangolazione Siria-Libano-Israele vede anche un mutamento dei confini territoriali dei tre Stati a tutto vantaggio di Tel Aviv. Ne scrive Jason Ditz su Antiwar: “Sono in corso colloqui tra Israele e Siria sulle alture del Golan occupate e le proposte si concentrano sul fatto che la Siria accetti che Israele possa mantenere parte del Golan [in realtà più o meno tutto ndr.] in cambio del permesso alla Siria di impossessarsi di parti del Libano settentrionale” (di quest’ultimo aspetto se ne sta occupando Barrak).

Lebanon Responds to US Demand, US Envoy ‘Unbelievably Satisfied’ Despite Rejection

Le pressioni di Barrak si accompagnano alle diuturne incursioni dell’esercito israeliano in territorio libanese, che ogni giorno mietono vittime e devastano villaggi in violazione al cessate il fuoco stabilito con Hezbollah nel novembre scorso, mentre continua a occupare le alture libanesi al confine con Israele.

Un’occupazione che doveva finire con il cessate il fuoco e che continuerà anche se il Libano soddisferà appieno le richieste imperiali, come ha chiarito lo stesso Barrak affermando di non poter garantire la fine dell’acquisizione territoriale israeliana. D’altronde, da tempo Israele vuole occupare il Libano meridionale fino al fiume Litani. E, senza Hezbollah a contrastarlo, nel tempo riuscirà.

Tale la situazione, tale il caos che sta dilagando in Medio oriente perché sia confacente ai desiderata israeliani. Il genocidio di Gaza è solo l’orribile epicentro di un sommovimento tellurico che sta destabilizzando l’intera regione.

Trump è arrivato a cose fatte, quando il terremoto era già iniziato, apparentemente inarrestabile. Non può fermarlo, o forse non vuole. Quel che è certo è che tenta, assecondando il sommovimento, di attutirne le scosse (com’è avvenuto per la guerra Israele-Iran) e di chiudere la mattanza dei palestinesi.

Forse il tempo gli darà ragione, forse, invece, al contrario, il sisma aumenterà di intensità anche grazie alle sue iniziative. Ma questo è l’incerto futuro prossimo, adesso quel che conta è se il mattatoio Gaza può essere messo in pausa, si spera duratura.

 

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