16 Febbraio 2024

L'esercito israeliano: Hamas sopravviverà alla guerra

Un documento ufficiale dell'Intelligence militare israeliana segnala che Hamas resisterà anche dopo la fine del conflitto
L'esercito israeliano: Hamas sopravviverà alla guerra
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“L’intelligence militare israeliana ha distribuito questa settimana un documento ai leader del Paese avvertendo che, anche se l’IDF riuscisse a smantellare Hamas come forza militare organizzata a Gaza, essa sopravviverà come ‘gruppo terroristico e di guerriglia’”. Lo riporta oggi il Timesofisrael rilanciando un servizio di Channel 12. Report: IDF intel assesses that Hamas will ‘survive as terror group’ post-war

“‘[…] Almeno a questo riguardo”, aggiunge [il documento], “non ci sarà una vittoria assoluta’, come previsto e chiesto dal primo ministro Benjamin Netanyahu fin dall’inizio della guerra”, conclude il giornale israeliano. L’importanza di tale rivelazione sta nello smascherare la narrativa di una parte della leadership israeliana sostenuta per continuare ad libitum le operazioni militari e ignorare la prospettiva di un accordo con Hamas per liberare degli ostaggi.

Eisenkot, gli ostaggi sono la priorità 

Richiesta, quest’ultima, avanzata invece pubblicamente dall’ex capo di Stato Maggiore Gadi Eisenkot, membro del gabinetto di guerra, che si è fatto portavoce di un’istanza condivisa da una parte della leadership e della società israeliana, anche perché egli è inattaccabile rispetto da eventuali accuse di disfattismo dal momento che suo figlio è morto in uno scontro a Gaza.In critique of PM, Eisenkot says talk of ‘absolute defeat’ of Hamas is a tall tale

In una recente intervista, dopo aver detto che parlare di una sconfitta assoluta di Hamas è una “favola” e che chi lo afferma racconta “frottole, proseguiva così: “Per me non c’è dubbio su quale sia la massima priorità da perseguire”, aveva affermato. “[…] la missione più importante è salvare i civili (ostaggi) prima ancora di eliminare il nemico”. Il documento dell’IDF gli dà ragione in pieno.

Il capo della Cia e il direttore dell’Fbi in Israele

Di ieri l’ennesima telefonata di Biden a Netanyahu per metterlo in guardia dall’attaccare Rafah senza prima preservare i civili. Al di là dei contenuti della telefonata, che al solito si fermano sulla soglia del “cessate il fuoco” e che non tiene conto degli orrori delle pregresse evacuazioni dei palestinesi, essa segnala come per Biden la crisi mediorientale resti la priorità del momento (la telefonata serviva anche a ricucire, dopo che era trapelato che Biden aveva chiamato il premier israeliano “stronzo“).

Tale priorità è segnalata anche dalla parallela visita in Israele del Capo della Cia William Burns e, soprattutto, della più irrituale visita a sorpresa del direttore dell’Fbi Christopher Wray, Ciò corre in parallelo alle insistenze per un cessate il fuoco da parte di Paesi che in precedenza avevano preso posizioni più condiscendenti rispetto a Israele (di ieri la richiesta in tal senso di Canada, Australia e Nuova Zelanda).

Distanze tra Israele e Hamas, le pressioni internazionali 

Netanyahu è intenzionato a proseguire sulla sua strada, cioè nella sua guerra infinita (Haaretz), come ha dichiarato dopo la conversazione con Biden, affermando che non si piegherà alle pressioni internazionali.

Piccolo spiraglio: l’articolo di punta del Jerusalem Post, il più importante media israeliano, che dal 7 ottobre ha sposato le posizioni più oltranziste, segnala un cambiamento nell’opinione pubblica israeliana: ora la liberazione degli ostaggi, prima considerata prioritaria al pari dell’eliminazione di Hamas, è passata in secondo piano rispetto al secondo obiettivo. Public opinion begins to shift as Israel debates a possible hostage release deal with Hamas

Ma, in un articolo di tale tenore, appare ancor più importante la conclusione, perché di segno totalmente opposto: “Per ora, le distanze tra Israele e Hamas sono apparentemente troppo ampie. Tuttavia, l’aumento della pressione internazionale per un cessate il fuoco da parte di Israele e di Hamas potrebbe portare ad un cambiamento”. Evidentemente, anche nella leadership israeliana più dura la pressione internazionale inizia a farsi sentire. Vedremo.

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