Trump incontra le volenterose marionette delle guerre infinite

La Ue è entrata nel panico dopo l’incontro Trump – Putin in Alaska. Lo denota il comunicato emesso subito dopo l’incontro, che ha limato il bellicoso comunicato dei cosiddetti “volenterosi” del 13 agosto che era, di fatto, una vera propria dichiarazione di guerra alla Russia, in particolare nei passaggi in sui si ammoniva sul fatto che Mosca non potesse avere potere di veto sull’adesione di Kiev alla Nato e che non potevano essere imposte restrizioni al suo apparato militare.
Due condizioni che, se accolte dalla Casa Bianca, garantirebbero la prosecuzione della guerra per secula seculorum. Infatti, la prima è stata la causa principale dell’invasione ucraina (anche Kissinger disse che aprire a Kiev le porte della Nato fu un “grave errore“) e la seconda è ritenuta da Mosca una condizione essenziale per porre fine alle ostilità, perché teme che un accordo di pace che non contenga limitazioni per l’esercito ucraino sia usato per rinforzare Kiev e riprendere la guerra successivamente (com’è accaduto con gli accordi di Minsk; un retroscena, quest’ultimo, che non è frutto di una congettura russa, ma è stato confessato pubblicamente dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel).
Al di là della querelle, resta centrale la questione della cessione di parte dei territori ucraini alla Russia, che resta un tabù anche nel comunicato della Ue, dal momento che si ribadisce come assoluto il principio “dell’integrità territoriale” e che i confini degli Stati non devono essere “modificati con la forza”. Su questo punto sta o cade il tentativo di chiudere la guerra ucraina, perché la Russia non accetterà mai un di meno.
Oggi i leader della Ue sono a Washington nel tentativo di far deragliare l’intesa di massima russo-americana raggiunta in Alaska. Tentativo da realizzarsi immettendo nell’accordo, ancora incognito, delle variabili che risultino inaccettabili a Mosca o delineando una road map negoziale tale da rendere impossibile concretizzare un’eventuale intesa, sia predisponendo summit Russia-Ucraina con contorno di presenze indebite, sia dilazionandone i tempi per dare spazio a incidenti di percorso che vanifichino tale processo (come accadde per i negoziati dell’aprile del 2022, inceneriti in dirittura d’arrivo dall’intervento a gamba tesa di Boris Johnson e dalle asserite stragi di Bucha).
Sbaglierebbe chi reputa che il contingente europeo, al quale si è aggiunto il Segretario della Nato Mark Rutte (che non dovrebbe agire come soggetto politico, ma tant’é), non abbia possibilità di far pressione sul presidente degli Stati Uniti. Ne ha, eccome, anche se non certo perché abbia potere in sé, quanto per il potere che gli è conferito dall’establishment americano che lo manovra a piacimento.
Non per nulla, prima del summit di Washington, ha fatto sentire la sua voce Hillary Clinton che, dopo un inusuale elogio del presidente, ha dichiarato che, se questi riuscirà a chiudere la guerra ucraina senza che Kiev ceda territori, sosterrà la sua candidatura al Nobel per la pace (sic). Ovviamente, la blandizia serve ad affossare il tentativo diplomatico, dal momento che senza cessioni territoriali la Russia non accetterà alcun accordo.
L’intervento del nume tutelare dei liberal segue un analogo intervento del punto di riferimento dei neocon, l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, il quale ha vaticinato che il summit in Alaska non porterà alcun frutto di pace. Avendo alle spalle tale potere, l’armata brancaleone europea ha un peso ponderale che Trump deve tenere presente.
L’imperatore ha un certo potere, ma resta più che relativo rispetto al potere reale che abita l’impero quando sono in ballo questioni che quest’ultimo ritiene essenziali. E mantenere acceso il fuoco ucraino per l’establishment Usa resta questione esistenziale.
Quanto alla querelle della cessione dei territori ucraini alla Russia, focus del gliommero, ci sarebbe tanto da dire, sia sul fatto che, anche prima della guerra, il Donbass era abitato sostanzialmente da russi, sia sulle vessazioni che tale popolazione ha dovuto subire dal governo centrale dopo il golpe di Maidan e tanto altro. Ma sorvoliamo.
Nulla importando le dichiarazioni dei singoli leader europei dopo il vertice Trump – Putin e quelle rilasciate in vista del loro comune incontro con il presidente degli Stati Uniti, perché lasciano il tempo che trovano, resta l’attesa per quanto accadrà a Washington.
Su tale summit è di grande interesse quanto scrive Strana: “Trump ha chiarito che la palla è ora nel campo di Zelensky. Deve accettare le condizioni concordate dai presidenti di Stati Uniti e Russia in Alaska […]. Gli elementi chiave sono che non ci dovrebbe essere una tregua temporanea, ma un trattato di pace a tutti gli effetti e che le forze armate ucraine dovrebbero essere ritirate dal Donbass. Se Zelensky accetterà queste condizioni, questa settimana o la prossima si terrà un incontro trilaterale tra i presidenti di Ucraina, Stati Uniti e Russia, dopo il quale verrà concluso un accordo per porre fine alla guerra [tempistica invero ottimistica, ma speriamo ndr.]”.
“Zelensky e gli europei cercheranno di far cambiare idea a Trump durante l’incontro, per incoraggiarlo a ritirare la richiesta di ritirare le truppe dalla regione di Donetsk e tornare al precedente concetto che vedeva ‘prima un cessate il fuoco lungo la linea del fronte, poi negoziati per un accordo di pace’, condizioni che il leader russo Vladimir Putin respinge”.
“Tuttavia, Trump non ha ancora inviato alcun segnale circa la possibilità di rinegoziare gli accordi raggiunti in Alaska. Ad esempio, si è rifiutato di consentire ai leader europei di partecipare al suo primo incontro con Zelensky. Li incontrerà solo dopo aver parlato privatamente con il presidente ucraino. Probabilmente ritiene che in un incontro individuale sarà più facile per lui convincere Zelensky ad accettare i termini dell’accordo”. Il neretto è nostro. Vedremo.
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