9 Settembre 2021

Il realismo e il credo dell'internazionalismo liberaldemocratico

di Eleonora Piegallini
Il realismo e il credo dell'internazionalismo liberaldemocratico
Tempo di lettura: 4 minuti

L’Afghanistan è ormai completamente in mano ai talebani, eppure c’è chi non si rassegna, come ad esempio Lindsey Graham, senatore repubblicano, che promette che “gli Stati Uniti torneranno in Afghanistan”.

Ma, almeno al momento Biden ha dichiarata finita la prospettiva della nation-building (“costruzione della nazione”) e ha escluso l’eventuale ritorno sul territorio.

Lo scontro interno agli Stati Uniti, che vede la prospettiva di un “contenimento” del potere americano contrapposta a quella di un espansionismo aggressivo, non è nuovo ed è ben presentato in un articolo del National Interest dello scorso agosto.

L’articolo risponde a uno studio dell’International Institute for Strategic Studies nel quale Daniel Deudney e G. John Ikenberry, due teorici delle relazioni internazionali, attaccano la prospettiva realista del restraint (contenimento) in politica estera, appoggiata da forze eterogenee come i libertari nazionalisti, i teorici dell’equilibrio dei poteri e la sinistra progressista e anti-imperialista.

I fautori della politica del contenimento, secondo Deudney e Ikenberry, sarebbero accomunati non tanto da una qualche proposta specifica, ma dall’opposizione “al progetto dell’internazionalismo liberale americano, che si fonda sul sistema di regole, istituzioni e partnership che gli Stati Uniti hanno costruito e guidato negli ultimi settant’anni”.

La Guerra Fredda e il realismo politico

Nello specifico, si sostiene che la prospettiva realista, propria della Guerra fredda, divenuta obsoleta dopo il crollo dell’Urss, si sia ricostituita come mera critica all’internazionalismo liberale, opponendosi alla nuove prospettive della NATO, alle missioni umanitarie e alla ideologia della nation-building.

Invece, come scrive il National Interest, non era affatto obsoleta: i realisti sapevano fin dall’inizio “che la pace liberaldemocratica post-Guerra Fredda”, nella quale l’America assurgeva al ruolo di unica potenza globale (la prospettiva dei liberal internazionalisti) “era un’anomalia politica e non sarebbe durata”.

La fine della storia decantata da Fukuyama era, infatti, allora come oggi, una prospettiva inverosimile e i dubbi dei realisti rispetto all’eccessiva egemonia americana si sono rivelati corretti.

Molte delle paure espresse dai cosiddetti oppositori dell’internazionalismo liberale si sono avverate. “I realisti sostenevano che, se lasciata incontrollata, l’espansione della NATO avrebbe portato a una Russia sempre più revanscista”, con piccoli Stati che sarebbero ricorsi alla NATO per proteggersi dalla Russia.

Invece per i realisti, come scrive il National Interest, “La NATO dovrebbe essere un’alleanza di pari con compiti di difesa da una minaccia comune, non un racket che offre la propria protezione o un club volto a difendere dei piccoli satelliti in regioni lontane, o un circolo con lo scopo di diffondere le istituzioni liberali”.

“L’Ungheria e la Polonia, infatti, non sono diventate liberal-democratiche, e i destini dell’Ucraina e della Georgia sono sempre stati segnati a causa della loro geografia, una variabile che i liberali sembrano costantemente sottovalutare nelle proprie analisi”.

“Gli Stati Uniti o l’Europa occidentale (specialmente Francia e Germania), secondo i realisti, non prenderanno mai le armi contro una potenza nucleare, né dovrebbero essere trascinate in guerra da piccoli Paesi”, come ad esempio la belligerante Ucraina (Piccolenote).

A posteriori, anche lo scetticismo realista verso i progetti di nation-building riguardanti la Somalia, i Balcani, l’Iran e in generale il Medio Oriente, si è dimostrato fondato.

“Gli interventi fondati sull’idea della nation-building in Iraq e in Afghanistan hanno causato la dissipazione di trilioni di dollari di tasse oltre alla perdita e alla distruzione di migliaia di vite. I conflitti per procura in Libia e in Siria hanno trasformato quei Paesi in hub per il traffico di esseri umani e hanno devastato le zone cuscinetto che garantivano una certa stabilità [in Occidente] frapponendosi tra Europa e Africa, inoltre hanno provocato una delle più grandi migrazioni di massa nella storia dell’umanità”.

Nella loro analisi, Deudney e Ikenberry arrivano a sostenere che la prospettiva realista era il fondamento ideologico della guerra irachena, che sarebbe stata fatta per “salvaguardare il primato americano in Medio Oriente. Ma questa prospettiva è semplicemente assurda”. In realtà, secondo i realisti, serviva a promuovere il nuovo ordine mondiale liberal democratico.

La religione liberaldemocratica

Va inoltre considerato che a rendere ancora più forte la spinta dell’internazionalismo liberale è la tenaglia destra-sinistra. Infatti, anni fa, Stephen Walt scrisse che i neoconservatori alla Dick Cheney non erano diversi dai liberali come Tony Blair e Hillary Clinton, e che i neoconservatori sono essenzialmente liberali sotto steroidi”.

Infatti, ciò che accomuna neoconservatori e liberali à la Blair e Clinton è una prospettiva manichea incentrata sulla necessità di diffondere la liberaldemocrazia, stravolgendo e rimodellando le società che non vi si riconoscono.

A riprova di ciò, il National Interest riporta il discorso fatto da Blair in occasione della guerra del Kosovo, quando chiamava l’Occidente a intraprendere una “crociata globale implacabile” per diffondere la libertà, la democrazia etc.

Della Clinton, invece, viene menzionato quanto scritto da Samantha Power nel suo libro L’educazione di un idealista, dove si racconta di come l’allora Segretario di Stato sia riuscita a convincere il presidente Obama della necessità di un intervento in Libia per salvare le donne, promuovere la democrazia e altro, a dispetto del vicepresidente Joe Biden e del Segretario per la Difesa Bob Gates.

Insomma, “le idee contano”, scrivono Deudney  e Ikenberry. Eppure la realtà dei fatti, per tornare all’Afghanistan, è che i talebani hanno riconquistato il Paese, la Tunisia e l’Egitto sono tornate in mano all’esercito, decretando così il fallimento della primavera araba, e in Libia le milizie mercenarie destabilizzano le coste e il figlio del colonnello Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, ha annunciato di volersi candidare alle prossime elezioni attirandosi ampi consensi.

Questi fallimenti e le immani tragedie che hanno causato, conclude il National Interest, dovrebbero portare una volta per tutte a dubitare “di alcuni assunti teologici centrali della religione chiamata liberal internazionalismo”.

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