Iran: il bivio di Trump

“Ieri è successo qualcosa e Trump è ora determinato a trascinare il Paese in guerra. Può cambiare idea all’ultimo minuto, come fece nel 2019 [Siria ndr.], ma in caso contrario, la guerra è assicurata”. Inizia così un articolo di Trita Parsi su Responsible Statecraft, che spiega come l’ultima offerta di Trump all’Iran di una resa incondizionata, avanzata dopo il summit con i vertici della Sicurezza di ieri sera (il primo dall’inizio dell’aggressione israeliana all’Iran), non possa essere accolta dalla controparte.
Anzitutto perché Teheran ha perso fiducia che sul fatto che Trump voglia perseguire una soluzione pacifica alla crisi, come anche nella sua capacità o volontà di “dire no a Israele”.
Inoltre, Teheran sa bene che “Israele non si accontenterà dello smantellamento completo del programma nucleare iraniano”. Se questo venisse distrutto “Israele rivolgerebbe la sua attenzione al programma missilistico iraniano”.
“Non accetterebbe che l’Iran abbia missili in grado di devastare Israele, come è successo negli ultimi giorni. Senza missili, aviazione o deterrenza nucleare, l’Iran sarebbe completamente esposto e indifeso. Una volta raggiunto questo obiettivo, gli israeliani spingerebbero per un cambio di regime o per il suo collasso”. E probabilmente anche per ledere la sua “integrità territoriale”.
“Di conseguenza, Teheran non può prendere in considerazione la capitolazione, anche se la desiderasse (cosa a cui non credo), come una possibilità percorribile. A loro parere, l’unica possibilità che gli resta è reagire. Rendere la guerra più costosa possibile per gli Stati Uniti – anche se la perderanno – nella speranza di poter dissuadere Trump o di costringerlo a interromperla. Come è accaduto in Yemen”.
“Pertanto, se si terranno nuovi colloqui e Trump insisterà sulla capitolazione, otterrà la guerra. L’Iran pagherà un prezzo incommensurabile. Così come la regione”. Anche gli Stati Uniti pagheranno un prezzo, ovviamente. Ma a pagare di più, oltre all’Iran, sarà il mondo, dal momento che l’instabilità mediorientale, in particolare l’incerta navigabilità o addirittura la chiusura dello Stretto di Hormuz, rischia di provocare una crisi economico-finanziaria di proporzioni al momento non stimabili.
I venti di guerra spirano fortissimi. Alex Jones, il re dei complottisti o etichettati tali, trumpiano della prima ora e acceso critico dell’intervento, afferma che Trump ha ormai deciso di muovere guerra. Allarme che non va sottovalutato, dal momento che in passato ha dimostrato di avere informazioni credibili.
L’atomica che non c’è
Inutile ribadire che non c’è nessun motivo reale per cui l’Iran rappresenterebbe una minaccia. Lo ha evidenziato in maniera incontrovertibile l’intervista di Christiane Amanpour, cronista di punta della CNN, a Rafael Grossi, nella quale il direttore dell’AIEA ha dichiarato che l’Agenzia atomica non ha trovato “nessuna prova di un impegno sistematico per realizzare un’arma nucleare”.
La realtà conta nulla in questa temperie, come palesa la risposta seccata di Trump a chi gli chiedeva del rapporto della National Intelligence reso pubblico da Tulsi Gabbard lo scorso marzo, quando la direttrice dell’Agenzia dichiarava che l’Iran non stava perseguendo l’atomica. “Non mi interessa quel che ha detto la Gabbard”, la risposta tranchant.
Che le cose stanno prendendo una brutta piega lo si nota anche dalle dichiarazioni dell’ayatollah Khamenei, che ha respinto la resa incondizionata, né poteva fare altrimenti, e ha avvertito l’America a non entrare in guerra perché subirebbe “danni irreparabili”.
Al di là della credibilità o meno di un’avvertenza tanto forte, resta che è la prima volta dall’inizio del conflitto che l’ayatollah parla in questi termini all’America, avendo finora limitato i suoi strali al nemico israeliano.
A Israele urge il Golem americano. Se lo scambio di colpi tra Israele e Iran si protraesse senza il suo aiuto, Tel Aviv alla lunga sarebbe costretta a capitolare. Non ha profondità strategica né le risorse per sostenere una guerra di logoramento e le risorse balistiche iraniane hanno dimostrato di poter penetrare le difese israeliane con certa facilità.
Inoltre, la sua sussistenza dipende da tre porti principali: Eliat, Haifa e Ashdod; e uno di questi, Eliat, è fuori servizio a causa del blocco degli Houti dello Stretto di Bab al-Mandab. Se la guerra si facesse esistenziale per Teheran, potrebbe prendere di mira gli altri due porti mercantili (Haifa è stato già colpito) per chiudere Israele ai beni essenziali.
Netanyahu ha iniziato una guerra che sa di non poter vincere. Gli serve l’America. Così tutto sta a cosa farà Trump, che persevera in un’ambiguità che non promette nulla di buono.
Lo Squid Game dell’IDF a Gaza
Quanti gli hanno fatto la guerra finora, neocon e liberal (anche se questi ultimi al momento appaiono divisi), oltre che il famoso stato profondo, ora lo incensano e gli promettono allori se porterà il Paese in guerra. Se accadrà non sarà un revival dell’invasione irachena, ma qualcosa di molto peggio.
Allora, nonostante la brutalità della campagna militare, non c’era un genocidio in corso. Se Trump farà il passo fatale il suo nome sarà ricordato non solo per l’aver innescato un’altra grande guerra mediorientale, ma anche come co-protagonista del genocidio dei palestinesi, del quale finora è stato solo uno dei tanti complici, condividendo tale responsabilità con tanti leader occidentali (se poi l’invasione dell’Iran innescherà la terza guerra mondiale, come potrebbe accadere, è inutile disquisire).
Un genocidio che si dipana in modalità sempre nuove e più orrorifiche. Ormai non passa giorno che i poveretti che vanno a cercare qualcosa da mangiare nei cosiddetti siti destinati alla distribuzione degli aiuti non vengano uccisi a decine.
Impossibile ormai parlare di incidenti casuali, si tratta di una strategia messa a punto da qualche sadico pianificatore israeliano volta a destabilizzare ulteriormente la mente e il cuore dei palestinesi, costringendoli a sfidare la morte mentre cercano di procacciarsi un tozzo si pane. Un crudele Squid Game alimentare.
Ecco, la guerra all’Iran non è che un corollario di questo genocidio, l’altra faccia della medaglia della Grande Israele. Trump deve decidere se assecondare ancora di più tale follia, che un attacco Usa all’Iran farà dilagare al parossismo.
Sembra passato un secolo da quando, nel discorso inaugurale della sua presidenza, ebbe a dire: “Il nostro successo non si misurerà solo in base alle battaglie che vinceremo, ma anche in base alle guerre a cui porremo fine e, forse ancor più importante, alle guerre nelle quali non parteciperemo mai”.