31 Ottobre 2025

Israele viola ancora la tregua a Gaza e in Libano

di Davide Malacaria
Israele viola ancora la tregua a Gaza e in Libano
Tempo di lettura: 4 minuti

Jet e artiglieria israeliani stamane hanno bersagliato Khan Younis e Gaza City, due i morti, stavolta senza brandire alcun pretesto. Nessuna querelle sui corpi degli ostaggi, nessuna scaramuccia, per usare le parole di J. D. Vance, con i miliziani di Hamas. E ciò dopo aver dichiarato che la tregua rotta due giorni fa era tornata in vigore. Netanyahu in tal modo ha inteso rivendicare il diritto all’arbitrio rispetto all’alleato d’oltreoceano, che continua a lavorare come se il cosiddetto piano di pace di Trump dovesse attuarsi davvero (dove quel davvero sottente tante cose).

Infatti, Washington sta faticosamente cercando di mettere su la Forza di stabilizzazione che, secondo il piano, dovrebbe presidiare Gaza, che sarebbe composta da foze palestinesi e soldati provenienti da Paesi arabi e musulmani, cooptando peraltro anche la Turchia in contrasto con il veto posto su di essa da Tel Aviv.

Lo spiega Axios riferendo le difficoltà poste dai Paesi interessati, che chiedono garanzie temendo che le loro forze finiscano sotto il fuoco incrociato delle varie fazioni palestinesi (Israele ha armato bande locali contro Hamas); o, peggio, di essere bersagliate delle bombe di Tel Aviv.

Scoop: U.S. pushing to finalize plan for international Gaza security force

Sempre Axios riferisce che gli Stati Uniti hanno offerto ai miliziani di Hamas che si trovano nella zona di Gaza controllata da Israele un passaggio sicuro per l’area più o meno libera (se così si può definire la zona in cui sono stipati i palestinesi, ancora stretti dalle limitazioni agli aiuti e senza possibilità di accedere alle cure più elementari). Un modo per tentare di evitare incidenti di percorso che diano a Israele nuovi pretesti per bombardare.

Allo stesso tempo, le bombe sganciate stamane vogliono indurre Hamas a una qualche reazione, fosse solo un colpo di pistola, per poter riprendere la mattanza in grande stile, cosa che temono i palestinesi (e non solo loro).

Resta, però, che l’attacco a freddo delle forze israeliane non ha innescato nessuna critica da parte degli States. Un silenzio che segnala la soggezione Usa all’alleato mediorientale e che aumenta lo scetticismo, già forte, sulla possibilità che vogliano e/o riescano ad arrestare la macchina di morte israeliana.

Peraltro, il disinteresse per i vincoli derivanti dall’accordo stretto con Hamas appartiene alle corde dell’IDF, come dimostrano le continue violazioni del cessate il fuoco stabilito con Hezbollah, che tormentano il Libano.

Non solo i diuturni raid israeliani, che ieri hanno causato l’ennesima vittima: sul Paese dei cedri pende anche la spada di Damocle di una ripresa delle ostilità in grande stile.

Gli Stati Uniti, per bocca dei loro inviati, da tempo minacciano il Libano di una ripresa della guerra da parte di Israele, alla quale darebbero sostegno, se Hezbollah non disarma come stabilito dalla tregua.

Il nodo della questione, come spiega il New York Times, è che i patti stabilivano che il disarmo sarebbe avvenuto allorquando Israele si fosse ritirato dal Paese. A quel punto l’esercito libanese avrebbe dovuto riprendere il controllo dei confini nazionali ed Hezbollah avrebbe reso le armi.

Ma l’IDF non ha ottemperato, anzi le autorità di Tel Aviv hanno chiarito che le aree attualmente occupate, che gli permettono di monitorare tutto il Sud del Paese, rimarranno tali. Da qui la resistenza di Hezbollah al disarmo; resistenza che i continui raid rafforzano, dal momento che temono un’invasione che li veda inermi.

Barrack, once again, says Lebanon has reached its 'last chance' to negotiate with Israel

In questi ultimi giorni, poi, la tensione è salita alle stelle, con l’inviato Usa Tom Barrak che ha comunicato alle autorità di Beirut che hanno “l’ultima possibilità” per disarmare la milizia sciita, altrimenti il Libano sarà “lasciato a sé stesso” e “nessuno potrà fare pressione su Israele per impedirgli di fare tutto ciò che ritiene necessario per procedere al disarmo con la forza”. Un’esplicita minaccia.

Così il presidente il Joseph Aoun si è affrettato a chiedere allo Stato Maggiore libanese una road map per disarmare Hezbollah, piano che dovrebbe essere redatto entro una settimana.

In parallelo, Aoun ha chiesto alla comunità internazionale di placare l’aggressività del Paese confinante ricevendo i soliti quanto evanescenti attestati di solidarietà e, per placare la rabbia dei suoi cittadini, ha ordinato all’esercito di difendere la sovranità del Paese dagli attacchi. È la prima volta che accade, ma non sembra una minaccia credibile: Israele teme solo Hezbollah.

Il Libano attende la visita di papa Leone XIV, che si recherà prima in Turchia, a İznik, nome attuale dell’antica Nicea dove 1700 anni fa la Chiesa adottò il Credo, per poi raggiungere il Paese dei cedri. Un viaggio che si terrà dal 27 novembre al 2 dicembre. e che potrebbe attutire l’aggressività israeliana, quantomeno per evitare ulteriori danni di immagine (almeno, questa è la speranza).

L’ultima visita di un Papa nel Paese dei cedri fu quella di Benedetto XVI, svoltasi dal 14 al 16 settembre del 2012. Ebbe un’accoglienza di popolo calorosa, com’era ovvio, e diversi media, tra cui l’Inkiesta, registrarono anche lo “strano entusiasmo” di Hezbollah per la visita, alla cui sicurezza contribuì non poco.

Inoltre, la loro guida spirituale, lo sceicco Hassan Nasrallah – ucciso da Israele durante la recente guerra dopo aver accettato la tregua proposta da Stati Uniti e Francia – definì la visita “straordinaria e storica“. Benedetto XVI, poi, non mancò di incontrare i parlamentari di Hezbollah, movimento anche allora considerato terrorista da Israele (e non solo). Solo per accennare alla relatività delle cose di questo mondo.

Pope Benedict XVI meets Hezbollah MPs while visiting Lebanon's political leaders

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