23 Giugno 2025

L'attacco Usa: l'atomica israeliana e quella iraniana (che non c'è)

di Davide Malacaria
L'attacco Usa: l'atomica israeliana e quella iraniana (che non c'è)
Tempo di lettura: 6 minuti

Così le più fosche previsioni si sono realizzate. Trump si è consegnato alla religione delle guerre infinite e ha attaccato (il 22 giugno, il doppio di 11… magie della cabala). Un crimine contro l’umanità che non vale se a compierlo sono Israele o Stati Uniti. E l’ipotesi che possa restare “one shot” a oggi è più che labile.

Il fallito summit di Istanbul

Ciò non solo perché Trump alterna bizzarre proposte di pace a minacce, ultima delle quali il via libera al regime-change, smentendo le dichiarazioni contrarie di altri funzionari Usa. Ma anche perché si chiede scioccamente all’Iran di non rispondere in alcun modo, né attaccando obiettivi americani né bloccando lo Stretto di Hormuz, chiusura deliberata oggi dal Parlamento iraniano che deve essere ratificata dalle massime autorità dello Stato. Addirittura il Segretario di Stato Marco Rubio, noto falco anti-cinese, ha implorato Pechino di far pressione sull’Iran perché non dia seguito al voto parlamentare. Siamo alla farsa.

Come farsesca risulta la Ue, che nella sua ossessione verso Mosca stava per varare il “price cap” contro il petrolio russo per ridurne drasticamente le entrate, proprio nel giorno in cui Israele ha aperto il vaso di Pandora iraniano, che rischia di far diventare l’oro nero più prezioso che mai. Tale la genialità della leadership europea.

Ma, passando a cose serie, resta da capire cosa è successo. Axios rivela che lunedì, nel corso del G-7, Trump aveva ricevuto la telefonata di Erdogan “per organizzare un incontro ad alto livello tra funzionari statunitensi e iraniani a Istanbul”.

Il presidente Usa avrebbe accolto la proposta e chiesto a J.D. Vance e a Steve Witkoff di andare, dicendosi disposto ad aggiungersi per incontrare “personalmente” il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.

"It was a headfake": Inside Trump's secret orders to strike Iran

“Vance e Witkoff avevano addirittura iniziato a preparare le valigie, ma lunedì pomeriggio è diventato chiaro che l’incontro non si sarebbe tenuto, ha affermato un alto funzionario statunitense. La Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, che si nascondeva per timore di essere assassinato, non è stata contattata per autorizzare i colloqui; inoltre, i continui attacchi aerei israeliani hanno reso troppo pericoloso per i funzionari iraniani lasciare il Paese”.

Fallito il tentativo in extremis in cui addirittura si era messo in gioco personalmente, Trump avrebbe deciso di attaccare. Prendendo per buona la ricostruzione di Axios, e ci sembra di doverlo fare, non sembra però credibile la spiegazione del fallimento.

È impossibile che il bunker segreto in cui viene preservata la vita dell’ayatollah non comunichi con l’esterno, né sembra credibile che una proposta tanto importante non gli sia stata comunicata o che, comunicata, abbia ricevuto un diniego; né appare credibile che la delegazione iraniana, che si presume fosse guidata come sempre dal ministro degli Esteri Abbas Araghchi, abbia rinunciato perché troppo pericoloso. Tutto ciò è smentito seccamente dal viaggio di Araghchi di due giorni fa a Ginevra, dove ha incontrato i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito.

L’atomica su Teheran?

Allora perché l’incontro è fallito? Una ipotesi, solo un’ipotesi, potrebbe essere legata al messaggio drammatico che Trump ha inviato mentre abbandonava in maniera improvvisa il G-7: “Tutti dovrebbero evacuare immediatamente Teheran“.

Trump leaves G7 summit early warning Tehran to evacuate

Un messaggio del tutto fuori registro rispetto a quelli lanciati prima e dopo l’attacco all’Iran, in cui ha profuso minacce roboanti quanto odiose e però molto più limitate. Così quell’anomalia non può non interpellare. Possibile che Trump sia stato avvertito che Israele stava per lanciare un’atomica su Teheran? Una domanda che ne richiama un’altra: Israele poteva permettere che si svolgesse quel summit?

Se si fosse fatto un accordo in extremis, per Israele sarebbe stato uno scacco incancellabile. Si tenga presente che Israele ha scatenato la guerra contro il suo nemico più potente per trascinarvi gli Stati Uniti, senza i quali è destinata a perdere.

Un accordo Washington-Teheran non solo avrebbe vanificato la sua intrapresa, ma Tel Aviv sarebbe stata sconfessata pubblicamente, con gli Usa che preferivano accordarsi con il suo nemico piuttosto che imbarcarsi nella Jihad ebraica contro Teheran (dei jihadisti ebrei che hanno abbracciato con entusiasmo l’ennesima guerra di Netanyahu scrive Uri Misgav su Haaretz…).

More of a Threat Than Iran: The Israeli Media and Opposition Have Jumped Aboard the Bibi Bandwagon

Israele avrebbe fatto di tutto per evitare il summit di Istanbul. E in quel tutto c’è anche l’opzione nucleare, dal momento che il governo di Tel Aviv ha ampiamente dimostrato di non conoscere alcun limite alla sua follia e che tanti, anche in tempi più recenti. hanno evocato l’uso dell’atomica contro Teheran.

Detto ciò, comprendiamo che i lettori potrebbero nutrire legittimo scetticismo per tale ipotetico retroscena. Sul punto, però, reputiamo di interesse quanto scritto da Alessandro Orsini, non certo un fan delle guerre dell’Occidente, il 15 giugno scorso.

Speriamo che Trump entri in guerra” è titolo di una nota nella quale spiega che l’Iran limita i suoi attacchi perché consapevole che Tel Aviv ha l’atomica. E conclude: “Il fatto che Trump minacci di entrare in guerra direttamente è una buona notizia perché vuol dire che c’è ancora un’opzione prima dell’attacco nucleare”. Insomma, è possibile che l’atomica da evitare non fosse quella iraniana, bensì quella israeliana.

Ciò non esime Trump dalle gravi responsabilità per l’aggressione all’Iran né per la gestione della crisi, che la sua prosa confusa e incendiaria sta alimentando, come anche per la proditorietà dell’attacco, avvenuto subito dopo la dichiarazione di una pausa di riflessione bisettimanale, cosa che ha incenerito la già scarsa fiducia degli iraniani – e del mondo – nei suoi confronti.

Ma potrebbe contribuire a spiegare tante anomalie, come ad esempio la resa incondizionata del vicepresidente J.D. Vance, contrario al bombardamento, che pure successivamente ha difeso il presidente affermando che “non è uno stupido” (cioè sa quel che fa) e che la guerra non sarà “lunga e devastante” (un po’ irenico, dal momento che le guerre si sa quando iniziano…).

Russia e Cina non stanno a guardare

Alcuni analisti ritengono che l’attacco Usa sia stato addirittura concordato sottotraccia con gli iraniani per evitare escalation, come fu quello contro Damasco dell’aprile del 2018. Abbiamo accennato a tale possibilità in altra nota, ma non ne avremmo scritto in questa sede, dal momento che non abbiamo elementi in proposito. Se ne scriviamo è solo perché a rilanciare tale ipotesi-speranza è stato Matt Gaetz, figura Maga che Trump stima, tanto da nominarlo ministro della Giustizia (nomina affondata dal Congresso).

Tale retroscena, ribadiamo, non esime Trump dalle gravissime colpe, perché anche se tutto ciò fosse vero ha alimentato l’incendio, né si vede come, del caso, ritiene di gestirlo in tanto caos. Ma, sempre se lo scenario fosse vero, resta la possibilità che possa cogliere finestre di opportunità per frenare o addirittura chiudere.

Finestre che potrebbe aprirgli il conflitto in corso, che non va come Israele sperava, dal momento che riteneva fosse sufficiente il blitzkrieg iniziale per erodere in maniera decisiva le risorse iraniane. Così non è stato e i missili iraniani continuano a piovere su un Paese già logorato dai conflitti pregressi e che non può reggere una guerra ben più logorante.

Scenario che l’intervento americano, che sembra destinato a proseguire, potrebbe non mutare in maniera decisiva, dal momento che non può intervenire con l’esercito, troppo numeroso quello iraniano, e con la sola campagna aerea non sembra poter incidere in maniera efficace, tanto cioè da evitare a Israele il diuturno martellamento.

C’è poi da considerare la variabile mondo. Oggi il presidente iraniano si è recato a Mosca per coordinarsi con la Russia. E la Cina non sembra disposta, stavolta, a osservare da lontano. Ha inviato due navi spia in zona ed è probabile che si ingerisca in maniera più concreta tramite il Pakistan, via naturale per rifornire di armi Teheran. Vedremo.

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