Libano: Hezbollah si sta trattenendo
Israele sta usando le tattiche militari che hanno devastato Gaza contro il Libano. Ciò spiega il pesantissimo bilancio dei bombardamenti di lunedì, uno “dei raid aerei più intensi nella storia della guerra contemporanea, che ha superato persino l’intensità dei bombardamenti di Gaza nei primi giorni della guerra”, come si legge sul New York Times.
Le vittime di lunedì: quasi tutti civili
Anche il bilancio delle vittime supera quello quotidiano registrato a Gaza, pure fuori scala rispetto a tutti i conflitti moderni. E, come accaduto per la Striscia, le forze israeliane non hanno fatto distinzione tra obiettivi militari e civili, né si è tenuto in nessun conto la raccomandazione propria delle leggi di guerra di limitare i danni ai civili.
Lo dettaglia il dottor Firass Abiad, ex presidente del consiglio di amministrazione del più grande ospedale del Libano che, come scrive il Nyt, è “comunemente considerato apolitico e ha ottenuto elogi e visibilità per le sue valutazioni basate sui dati durante la pandemia di coronavirus”, aggiungendo che Saad Hariri, il più fiero antagonista politico di Hezbollah, aveva pensato di affidargli il ministero della Salute.
Questa fonte affidabile e autorevole ha detto al Nyt che la ‘stragrande maggioranza, se non tutte’ le persone uccise o ferite lunedì erano civili”. Un dato che è stato eluso dai report mainstream sui raid, che sarebbero stati invece diretti contro obiettivi militari per prevenire imminenti iniziative di Hezbollah, informazioni in linea con le dichiarazioni di Netanyahu.
Tale mattanza ha due obiettivi: tentare di far sollevare i libanesi contro Hezbollah, illudendoli che in tal modo avranno salva la vita e la sovranità del loro Paese, ma soprattutto spingere Hezbollah a una reazione fuori registro che permetta a Netanyahu di far pressioni sull’America perché intervenga.
In attesa degli sviluppi, appare interessante quanto scrive su Israel Hayom il generale Zvika Haimovich, secondo il quale in questi giorni, nonostante l’escalation, Hezbollah e Israele stanno attenendosi a una nuova equazione: l’aggressione israeliana si concentra sulla parte meridionale e su Beirut Sud, dov’è attestato Hezbollah, risparmiando il resto del Paese e Hezbollah limita la portata dei suoi attacchi a qualche decina di chilometri dal confine.
Tacita intesa che potrebbe esser stata superata oggi dal lancio di un missile verso Tel Aviv, o almeno questa è l’interpretazione dei falchi israeliani, mentre in realtà il vettore era diretto verso un obiettivo ben preciso, militare, il quartier generale del Mossad e rappresentava la risposta all’attacco tramite i cercapersone killer dei giorni scorsi.
Al di là della querelle, pure importante perché se passa l’interpretazione dei falchi Israele potrebbe bombardare in maniera indiscriminata Beirut (anche se non gli conviene perché Tel Aviv non sarebbe risparmiata), lo scritto di Haimovich dice altro e interessante, che cioè “Hezbollah non ha ancora scatenato tutta la sua potenza di fuoco, astenendosi da lanci massivi di razzi o dall’impiego di vettori guidati di precisione”.
In effetti, Hezbollah non ha reagito come avrebbe potuto alle bombe israeliane. Tale remissività, in realtà un’attesa di studio, è spiegata da tanti analisti come prodotta dei raid, che avrebbero “degradato” le sue capacità, già degradate dal cyberattacco tramite cercapersone, che avrebbe quasi azzerato le rete di comunicazione di Hezbollah, tanto vitale in tempo di guerra.
Le comunicazioni di Hezbollah e la guerra regionale
Per quanto riguarda la rete di comunicazione di Hezbollah è interessante quanto scrive Alastair Crooke su Strategic Culture: “Hezbollah è un movimento civile oltre che una forza militare. Ha l’autorità su una parte significativa di Beirut e del paese, una responsabilità che richiede al movimento di assicurare ordine e sicurezza sul piano civile. I cercapersone e le radio [fatte esplodere] erano usati soprattutto dalle sue forze di sicurezza civili (in pratica una forza di polizia che gestisce la sicurezza e l’ordine nelle parti del Libano controllate da Hezbollah), nonché dai suoi rami logistici e di supporto. Dal momento che si tratta di personale non militare, non si era pensato che fosse necessario dotarlo un apparato di comunicazioni veramente sicuro”.
“Anche prima della guerra del 2006 – prosegue Crooke – Hezbollah aveva interrotto tutte le comunicazioni tramite telefoni cellulari e linee fisse per usare un proprio sistema di comunicazione basato su cavi ottici e su messaggi recapitati a mano ai quadri militari. In breve, le comunicazioni di Hezbollah a livello civile hanno subito un duro colpo, ma ciò non avrà un impatto eccessivo sull’apparato militare. Per anni il movimento ha operato sulla base del fatto che le singole unità avrebbero potuto continuare a combattere anche nel caso di un collasso completo delle comunicazioni basate sui cavi ottici o dello stesso quartier generale”.
Anche l’uccisione dei suoi leader, pubblicizzata da Israele come decisiva, pur segnando indubbi successi per Tel Aviv, non infligge danni irreparabili alla milizia, avendo tutti i capi di Hezbollah un successore già designato. Quanto ai danni subiti dal suo arsenale, va ricordato che alcuni giorni fa Hezbollah ha reso pubblico un video dei tunnel che si allungano lungo tutta l’area Sud del Libano, nei quali sono stipati i suoi tanti vettori balistici.
Come si può dedurre dall’incapacità di Israele di venire a capo dei tunnel di Gaza, ancora oggi oggetto di caccia incessante nonostante l’invasione via terra, tali apparati sotterranei sono sicuramente ancora operativi (non per nulla quasi tutti i morti dei raid sono civili, perché quasi tutti i miliziani di Hezbollah sono nei tunnel).
Insomma, ad oggi Hezbollah si trattiene, come dimostra peraltro l’inattività degli Houti registrata negli ultimi giorni, mentre normalmente hanno accompagnato le iniziative dell’alleato regionale con attacchi missilistici contro Israele.
Tutto sospeso, mentre Israele prosegue nei suoi raid e medita un attacco via terra, che però, allo stesso tempo, teme. E mentre l’abisso di una guerra regionale incombe sempre più, appare significativo l’allarme del presidente iraniano Masoud Pezeshkian, secondo il quale l’attacco al Libano è una “trappola” per trascinare il suo Paese in guerra.
Se ciò accadesse, gli Stati Uniti sarebbero costretti a intervenire, coronando il sogno di Netanyahu. Ovviamente quel costretti va letto con la relatività del caso, dal momento che neoconservatori e liberal interventisti americani da tempo fanno pressioni in tal senso.