Libia: il tassello per ricomporre il puzzle nelle mani di Putin
Tempo di lettura: 3 minutiOggi Khalifa Haftar e Fayez al Serraj, i due contendenti del caos in cui è sprofondata la Libia, si incontrano a Mosca per colloqui. Una finestra di opportunità per dare tregua allo stremato Paese, preda di una destabilizzazione permanente dopo l’intervento della Nato del 2011.
L’incontro segue la richiesta di una tregua annunciata ad Ankara da Vladimir Putin e Recep Erdogan il 9 gennaio scorso, allorquando il presidente russo e quello turco avevano inaugurato insieme il gasdotto Turkstream (Piccolenote).
La telefonata di Macron
La tregua, nonostante alcune ritrosie di Haftar, è arrivata e oggi Putin tenterà di trovare una conciliazione tra questi, che rappresenta i cosiddetti ribelli di Tobruk, e il presidente libico – riconosciuto come tale dalla comunità internazionale – al Serraj.
Ardua conciliazione, dato che sono davvero tanti i Paesi che hanno rivendicato un ruolo nella Libia del post Gheddafi, ma possibile, dato che Putin ha rapporti amichevoli con tutti i protagonisti della vicenda e che tanti temono il rilancio di Erdogan, al quale Serraj si è rivolto dopo esser stato scaricato da tutti i suoi sponsor (Italia compresa).
Il presidente francese Emmanuel Macron, sostenitore di Haftar, ha già telefonato a Putin per chiedere una pace durevole e verificabile, ma ovviamente soprattutto per ribadire l’interesse francese per il petrolio libico. Una telefonata significativa, nell’ottica di una ricomposizione (Le Figaro).
L’Italia ridimensionata
L’Italia esce con le ossa un po’ rotte dalla vicenda, dato che ha provato a difendere i suoi interessi energetici in Libia, confidando nel suo antico ruolo nel Paese, che invece non è più.
Non più potenza mediterranea, deve adeguarsi alla sua nuova, ridimensionata, dimensione, se non vuole soccombere ai nuovi protagonismi del Mare che in un tempo ormai andato indicava come Nostrum.
Infine, c’è da rilevare che il nuovo ruolo di Putin è stato reso possibile dal ritiro degli Stati Uniti da alcuni scenari internazionali, a sua volta reso possibile dalla nuova politica estera dell’amministrazione Trump.
Obama e il Viceré della Libia
Va considerato, infatti, che l’attuale caos deriva da un successivo, quanto tragico, errore dell’amministrazione Obama.
Dopo aver devastato la Libia, gli Stati Uniti avevano immaginato di ricomporre il complicato puzzle, creato dalle scorribande dei vari signori della guerra e dalle più cruente pervasività jihadiste, instaurando un nuovo governo guidato dall’ignoto Fayez al Serraj.
Un Vicerè di un regno in rovina, contestato un po’ da tutti, sia per la sua inconsistenza sia perché calato dall’alto e per di più dalla nazione che aveva distrutto il loro Paese.
L’amministrazione Obama aveva dato le chiavi di questo regno fantasmatico all’Italia, che avrebbe dovuto puntellare il re travicello in cambio della tutela dei suoi interessi, cosa che ha fatto un po’ troppo, inimicandosi la fazione avversa.
La giravolta finale di Roma, cioè l’abbandono del triste Vicerè al suo destino, in qualche modo necessitata dai rapporti di forza, invece di chiudere la partita a favore del suo antagonista, l’ha complicata, dato che ha aperto le porte all’intervento turco a sostegno di Tripoli, nuova e più pericolosa variabile di un gioco fin troppo complesso.
Il ruolo di Putin
A frenare la corsa all’escalation, il presidente russo, il quale deve aver convinto Erdogan che era meglio trattare dalla nuova posizione di forza che impelagarsi in un conflitto che rischiava di costare caro all’esercito regolare turco e alla sua stessa reputazione.
Vedremo se e come il caos libico andrà a ricomporsi. Se ciò avverrà, Putin avrà messo a segno un’altra vittoria diplomatica, ma soprattutto vedrà confermato il ruolo che gli ha ritagliato il destino, quello di antagonista principale dei neocon e della loro furia destabilizzante, quella stessa che ha travolto la Libia del Colonnello Gheddafi.
Non sarà facile ricomporre il puzzle. Peraltro, il re Abdullah di Giordania ha avvertito che migliaia di combattenti dell’Isis si sono trasferiti da Idlib, enclave del Terrore in Siria, in Libia (al Arabya). Variabile nuova del gioco al massacro.
Da tener presente che ldlib è da anni sotto l’assedio dell’esercito siriano sostenuto dai russi, ma, ogni volta che questi hanno provato a espugnarla, sono arrivati puntuali i richiami dell’Occidente a bloccare l’operazione, a causa delle possibili vittime civili che essa comportava (ragioni umanitarie non avanzate quando l’esercito Usa ha coventrizzato Raqqa, riducendola in cenere). Da ricordare.