Mohamed bin Salman ha consegnato a Trump un messaggio dell'Iran
Tempo di lettura: 4 minutiDella visita del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman negli Stati Uniti si è parlato e scritto molto per quanto riguarda gli accordi commerciali di portata stellare che sono stati raggiunti, in particolare sullo sviluppo delle centrali nucleari saudite, ma in realtà era cosa ovvia e che si situa nel solco della lunga storia del rapporto tra i due Paesi.
Dello stesso tenore l’intesa sulla sicurezza strategica siglata nell’occasione e condita da Trump con la solita retorica roboante. Nel caso specifico si trattava di rassicurare l’alleato dopo il proditorio attacco di Israele al Qatar, che ha spaventato tutti i Paesi del Medio oriente. Insomma, un atto dovuto. Se poi tutti questi accordi distoglieranno Riad dall’orbita Brics è altra cosa, ma non è materia di discussione in questo momento.
In realtà, l’importanza della visita risiede in altro. Anzitutto nell’esaltazione che ne ha fatto Trump, che di fatto sminuisce, relativamente ovvio, l’importanza di Israele per gli Stati Uniti. Un dato segnalato anche dalla vendita degli F-35 a Riad, che da tempo li richiedeva scontrantosi con i veti di Israele che vuole rimanere il sovrano incontrastato dei cieli mediorientali.
Stavolta il veto non ha funzionato e Tel Aviv non ha nascosto la propria frustrazione. Non è tanto la vendita in sé ad aver disturbato gli analisti israeliani, i quali hanno rassicurato sul fatto che la loro superiorità aerea non è in discussione (ma un vulnus in tal senso c’è, eccome), quanto il fatto che Trump abbia ignorato il loro niet.
Non solo, Trump ha evitato di esercitare pressioni sull’ospite riguardo gli Accordi di Abramo, rispettandone la posizione che vede Riad perseverare nel suo diniego finché non sarà stabilito un percorso chiaro e irrevocabile verso la creazione di uno Stato palestinese. E anche su questo punto, le sollecitazioni di Tel Aviv sono andate a vuoto.
Ma l’aspetto forse più importante della visita, a livello geopolitico, la segnala Middle east eye: “Ciò che ha reso il viaggio ancora più degno di nota è stato un messaggio scritto che il presidente iraniano Massoud Pezeshkian ha inviato al leader saudita il giorno prima della sua partenza”.
“Sebbene il portavoce del governo iraniano abbia minimizzato il messaggio, definendolo semplicemente una nota di ringraziamento all’Arabia Saudita per l’assistenza fornita ai pellegrini iraniani durante l’Hajj, i media vicini al governo hanno suggerito che avesse un significato più profondo”.
“Questi organi di stampa hanno ipotizzato che Mohammed bin Salman potrebbe fungere da nuovo mediatore nei colloqui tra Teheran e Washington, il che potrebbe spiegare perché Pezeshkian abbia inviato il messaggio. Mercoledì, molti giornali [iraniani] che sostengono Pezeshkian hanno pubblicato la notizia in prima pagina, mentre i giornali più intransigenti non ne hanno parlato affatto”.
Non è un caso che, proprio mentre Mohamed bin Salman si faceva latore di un messaggio tanto distensivo, i Paesi europei garanti dell’accordo sul nucleare iraniano e la delegazione Usa presso l’Agenzia atomica (Aiea) – che risponde ai neocon – abbiano inviato un nuovo ultimatum a Teheran perché consenta immediatamente le ispezioni dell’Aiea ai suoi siti nucleari.
Un ultimatum che segue la denuncia degli stessi Paesi all’Onu riguardo l’asserita l’inadempienza di Teheran agli accordi medesimi, stipulati durante la presidenza Obama, denuncia accompagnata dalla richiesta di reintrodurre le sanzioni che l’intesa aveva rimesso.
Ovviamente l’Iran ha reagito stizzita a un’imposizione tanto tranchant, dichiarando concluse le intese raggiunte al Cairo lo scorso settembre, quando Teheran aveva acconsentito alla ripresa delle ispezioni alle sue infrastrutture atomiche, sospese dopo l’improvvido attacco israeliano del giugno scorso contro l’Iran a causa del ruolo avuto dagli ispettori dell’Aiea nell’occasione (secondo Teheran avevano svelato a Israele non solo i dettagli dei siti, ma anche gli scienziati che vi lavoravano, molti dei quali sono stati assassinati nel corso dell’attacco).
Insomma, mentre a Washington si apriva una finestra per riaprire un dialogo tra Stati Uniti e Iran, i Paesi europei, in obbedienza ai desiderata di Tel Aviv, avviavano le manovre di sabotaggio. Se tutto ciò riecheggia quanto sta avvenendo per la guerra ucraina, con la Ue attiva a sabotare il negoziato Usa-Russia, non è certo un caso.
Infine, altro aspetto importante della visita, il fatto che bin Salman abbia perorato l’intervento di Trump nella tragica guerra sudanese, che vede contrapposte le forze del governo di Khartum ai ribelli della Forze di supporto rapido.
Un conflitto sfociato in genocidio, che vede i duellanti sostenuti da opposti Paesi, mediorientali e non, e che ha conosciuto di recente di orrori di El Fasher, con le Forze di supporto rapido scatenate contro i civili, giustiziati a migliaia dopo aver preso la città a seguito di un assedio durato 18 mesi.
Trump ha dato la sua disponibilità a mediare ed è probabile che il suo ingresso in campo in una guerra tanto dimenticata quanto catastrofica possa portare frutti. Almeno si spera.


