I neocon: dalle Torri gemelle alla Torre di Mosca
Tempo di lettura: 2 minutiIl G-20 di Buenos Aires doveva rilanciare la prospettiva di un mondo post-globalizzazione. Non sarà così.
Infatti, il vertice aveva il suo focus più che sulla riunione delle cosiddette venti potenze del mondo, sugli incontri a margine che avrebbe tenuto Trump con Xi Jinping e Vladimir Putin.
Il senso altamente simbolico di questo margine divenuto centro era che il mondo tornava a una prospettiva pre-globalizzazione, cioè definito, ridefinito, da dinamiche e influenze discendenti dalle grandi potenze, non più campo aperto alle spinte destabilizzanti proprie della globalizzazione consegnata all’élite finanziaria.
Il G-20 e la bomba Cohen
L’annullamento del vertice Trump – Putin ha chiuso questa possibilità. Certo, resta il summit Washington – Pechino, ma ne risulta depotenziato: sarà semplicemente occasione per porre un argine alla guerra commerciale intrapresa da Trump contro la Cina.
Sviluppo positivo, certo, ma privo di prospettive alte e altre. Il margine del summit, invece, sarà occupato da altro e più oscuro: la passerella del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman, che punta sul summit per uscire dall’angolo nel quale si è ristretto dopo l’omicidio Khasohggi.
A far annullare il vertice russo-americano non è stata la crisi ucraina, come da dichiarazione ufficiale, ma la bomba Cohen, scoppiata mentre Trump era in volo per Buenos Aires.
L’avvocato di Trump, indagato nell’ambito del Russiagate, ieri ha annunciato la sua conversione da imputato condannato a pentito.
E ha raccontato di aver intrattenuto rapporti con i russi fino alle elezioni presidenziali per costruire una Trump Tower a Mosca.
Rapporti che sarebbero stati noti a Trump il quale, proprio grazie a tali contatti, avrebbe usufruito dell’aiuto russo per infangare la sua avversaria Hillary Clinton durante le presidenziali.
Ciliegina sulla torta, Cohen ha ammesso di aver mentito al Congresso, crimine altamente riprovevole negli Stati Uniti.
Data la situazione, il presidente americano non poteva incontrare Putin.
Il Russigate, la Clinton e la Trump Tower
Trump ovviamente nega, ma il colpo è arrivato. E forte. I giornali americani grondano piombo e sangue. E l’odore del sangue ha fatto letteralmente impazzire i tanti nemici del presidente.
Il Russiagate continua la sua percussione. Due anni ormai, senza soluzione di continuità, con stop and go mediatici legati più al dipanarsi della politica estera del presidente che a vere e proprie indagini.
L’inchiesta, oltre che a porre ostacoli alla distensione Est – Ovest, tende a dimostrare che la campagna elettorale della Clinton fu danneggiata da calunnie provenienti da una nazione ostile quale la Russia.
Linea che coincide con la narrazione della Clinton riguardo la sua sconfitta elettorale.
Una narrazione che doveva esser consacrata da un documentario prodotto da Harvey Weinstein, prima che quest’ultimo finisse nei guai per molestie sessuali.
Se dunque il Russiagate riuscirà a provare quanto sostengono gli oppositori di Trump, avrà come conseguenza di ridare vigore all’immagine offuscata della Clinton. Rilanciandone le aspirazioni e quanto consegue.
Un’ultima considerazione, di colore. I nemici irriducibili di Trump (l’asse neocon – liberal) hanno preso il potere negli Stati Uniti, e nel mondo, dopo il crollo delle Torri Gemelle.
Un’altra Torre, la Trump Tower di Mosca, potrebbe consegnargli un ulteriore, splendido, trionfo.