9 Aprile 2019

I Guardiani della rivoluzione iraniana nella tossica blacklist Usa

I Guardiani della rivoluzione iraniana nella tossica blacklist Usa
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Richard Nephew, uno degli architetti delle sanzioni contro l’Iran, in forza nelle precedenti amministrazioni Usa, critica via twitter la decisione di Trump di inserire le Guardie rivoluzionarie nella blacklist del terrorismo.

Blacklist tossica

“Gli effetti pratici di questa iniziativa […] sono nulli”, scrive Nephew. I sostenitori della linea dura contro Teheran, prosegue, “possono festeggiare, ma questo non aggiungerà nulla di significativo alla pressione [contro l’Iran, ndr.] e sicuramente aumenterà significativamente il rischio”.

“Ma il nodo della vicenda è la motivazione non-così-nascosta: intossicare il rapporto [tra i due Paesi, ndr.] in modo che sia impossibile negoziare con la Repubblica islamica iraniana in futuro”.

La decisione, aggiunge, sarà “parte integrante delle cause” di un eventuale conflitto con l’Iran, di un suo ritiro dall’accordo sul nucleare e di un suo ritorno all’arma atomica.

Secondo il sito Axios, l’Iran finora ha evitato di rispondere, se non a parole, alle decisioni improvvide di  Washington, ma l’ulteriore stretta può fornire un “pretesto alle fazioni di Teheran che cercano lo scontro”.

Inoltre, dopo aver affermato che il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e altri fautori della linea intransigente sono “chiaramente frustrati dalla reazione dell’Iran al ritiro degli Stati Uniti dall’accordo” sul nucleare, spiega che per Teheran da domani “sarà più difficile ignorare ulteriori provocazioni da parte dell’amministrazione Trump”.

Prima reazione iraniana: l’inserimento dell’esercito americano nella blacklist del terrorismo. Seconda, il presidente Hassan Rouhani ha affermato che il suo Paese potrebbe rivedere la sua decisione sull’atomica.

Decisioni dettate anche dall’esigenza di arginare l’assertività della destra, che chiede una reazione adeguata alle “provocazioni” Usa (come le chiama Axios).

I Guardiani della rivoluzione iraniana nella tossica blacklist UsaIngerenze incrociate

Certo, la mossa trumpiana è elettorale: serve a preservare il regno Netanyahu aiutandone le sorti elettorali e, in prospettiva, anche il suo, dato che del premier israeliano ritiene che avrà bisogno nelle presidenziali del 2020.

Insomma ingerenze incrociate, di oggi e di domani. Un intreccio perverso tra due elezioni, il cui destino, in teoria, dovrebbe essere affidato alle idee dei cittadini dei rispettivi Paesi.

Soprattutto se si tiene presente che l’America è usa a dar lezioni di democrazia al mondo, a volte a suon di bombe, e che Israele si vanta essere l’unica democrazia del mondo arabo.

Val la pena riportare che la sparata di Trump è arrivata in corrispondenza di una interessante presa di posizione dell’Aieia (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica).

A settembre dello scorso anno Netanyahu, nell’ambito di una sessione delle Nazioni Unite, aveva denunciato un’illecita attività nucleare di Teheran, illustrando la denuncia con foto di un sito usato per lo stoccaggio di armamenti atomici (Haaretz).

Il sito era stato recentemente visitato dagli ispettori dell’Aieia, e più di una volta. Risultati ancora sotto embargo, anche se, intervistato dalla Cbs il 5 aprile scorso, il direttore generale dell’Agenzia, Yukiya Amano, ha affermato: “Non vedo attività contrarie all’accordo sul nucleare iraniano”.

Nulla importando l’esito dell’ispezione, che smentiva il premier israeliano, l’amministrazione Trump ha proseguito sulla sua strada, coprendo, di fatto, con un annuncio tanto dirompente la notizia e la smentita.

 

Ps. Al di là delle considerazioni della nota, val la pena riferire un altro cenno di Axios, secondo il quale la mossa di Trump può essere spiegata come un “contentino per gli intransigenti che non sono riusciti a persuadere il presidente ad adottare un atteggiamento più aggressivo”.

Restano le spiegazioni di cui sopra, ma il cenno indica che, come riportato più volte su Piccolenote, sullo scontro con l’Iran c’è dialettica tra Trump e i suoi. E c’è forse ancora spazio per evitare  il peggio. Forse.

 

 

 

 

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