26 Gennaio 2024

Ucraina: quando l'Occidente ha sabotato la pace

Alexander Chaly, ex viceministro degli Esteri ucraino: "Avevamo fatto la pace con Putin". Poi tutto naufragò...
Ucraina: quando l'Occidente ha sabotato la pace
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Putin ai negoziati di Istanbul del marzo-aprile 2022 “voleva raggiungere una soluzione pacifica con l’Ucraina”, ha dichiarato uno dei membri dell’allora delegazione ucraina, l’ex viceministro degli Esteri ucraino Alexander Chaly, in un incontro tenuto al Centro per la politica di sicurezza di Ginevra.

Putin era pronto a fare la pace con l’Ucraina

Ne riferisce Strana, che aggiunge come, secondo Chaly, era stato raggiunto un compromesso, che era “affatto lontano dall’ultimatum iniziale proposto dalla Russia” a Minsk (nel quale si chiedeva la “smilitarizzazione” completa e la “denazificazione”). Ma, secondo Chaly, “per qualche motivo” il compromesso raggiunto a Istanbul è stati violato. Putin voleva raggiungere una soluzione pacifica ai negoziati a Istanbul - membro della delegazione ucraina Chaly

“In quel momento, facevo parte della delegazione di negoziatori ucraini. Abbiamo trattato con la delegazione russa per quasi due mesi, tra marzo e aprile, un possibile accordo su una soluzione pacifica tra Ucraina e Russia. E noi, come ricorderete, abbiamo concluso con il cosiddetto ‘comunicato di Istanbul’. E alla fine di aprile eravamo molto vicini alla fine della guerra con una sorta di accordo di pace”.

“Per qualche motivo è stato rinviato. Ma secondo me, Putin, questo è il mio punto di vista personale, Putin, una settimana dopo il 24 febbraio dell’anno scorso, si è reso conto di aver commesso un errore e ha cercato di fare tutto il possibile per concludere un accordo con l’Ucraina sfociato nel comunicato di Istanbul”.

“È stata una sua decisione personale quella di accettare il testo di questo comunicato, che era completamente diverso dalla proposta originale russa, l’ultimatum presentato dalla Russia alla delegazione ucraina a Minsk. Eravamo riusciti a trovare un vero compromesso. Putin voleva davvero raggiungere una soluzione pacifica con l’Ucraina. Questo è molto importante da ricordare”.

Arestovych e il comunicato di Istanbul

Dello stesso tenore l’intervista a Oleksij Arestovych, ex consigliere di Zelensky, a Freddie Sayers pubblicata su UnHerd il 15 gennaio scorso: “Ho partecipato al processo di Istanbul ed è stato l’accordo più redditizio che avremmo potuto stipulare. Lì sono stati cestinati due precedenti accordi estremamente pericolosi per l’Ucraina: Minsk uno e Minsk due. Questo [nuovo] accordo comprendeva anche la querelle relativa alla Crimea”.

Oleksiy Arestovych: Zelenskyy’s challenger

“Ci sono voluti 10 – 15 anni di trattative sullo status della Crimea e questo ha portato sicurezza nel Mar Nero [riferimento anche all’accordo sul grano ndr]. Ma ora non so. Perché nel bel mezzo dei negoziati di Istanbul siamo venuti a Kiev e, dopo Bucha, abbiamo saputo dal presidente che avevamo interrotto i negoziati. Il prossimo incontro doveva tenersi il 9 aprile e il 2 aprile venne annullato”.

Quindi, alla domanda se, tornando da Istanbul, pensasse che le trattative erano andate a buon fine, ha risposto: “Sì, completamente. Abbiamo aperto la bottiglia di champagne. Avevamo discusso di smilitarizzazione, denazificazione, questioni riguardanti la lingua russa, la Chiesa russa e molto altro”.

“In quel mese restava da negoziare la questione della consistenza delle forze armate ucraine in tempo di pace e il presidente Zelensky disse: ‘Potrei dirimere direttamente questa questione con Putin’. Gli accordi di Istanbul erano un protocollo di intenzioni ed erano stati messi a punto al 90% in vista di un incontro de visu con Putin. Quello doveva essere il passo successivo dei negoziati”.

Poi tutto naufragò. Arestovych spiega che probabilmente furono gli orrori di Bucha a cambiare le cose, ma rammenta anche la successiva visita di Boris Johnson a Kiev, durante la quale, secondo diversi analisti, l’allora premier britannico disse a Zelensky, a nome dell’Occidente, di rifiutare la pace. Ma sul punto Arestovych dice di non avere informazioni.

Il libro di Shuster e la visita di Johnson

In altre note, abbiamo riferito che fu quest’ultima pressione a dissuadere Zelensky dal concludere la pace. Ciò è confermato da quanto ricorda il libro su Zelensky  di Simon Shuster titolato “The Showman” appena uscito in libreria.

The Showman by Simon Shuster review – Zelenskiy’s performance of a lifetime

Nella recensione entusiastica del Guardian, a parte le ovvie banalità necessitate dalla narrazione obbligata, si riporta la parte del volume in cui si ricorda l’intervista che diede Zelensky dopo la scoperta di Bucha.

Nonostante quanto avvenuto, Zelensky ebbe a dire: “Non penso che abbiamo altra scelta. Anche se stiamo lottando molto duramente, non vedo altra opzione, se non quella di sedermi con lui [Putin] al tavolo delle trattative e parlare”.

Così, il 7 aprile 2022, Boris Johnson si precipita a sorpresa a Kiev per convincere Zelensky a mandare tutto all’aria. Da notare che Johnson, il 3 aprile, aveva già chiamato Zelensky per congratularsi per l’eroica resistenza ucraina e denunciare i crimini di Bucha appena scoperti… evidentemente la sollecitazione telefonica era andata a vuoto, da cui l’approccio de visu. E ciò avviene due giorni prima dell’incontro decisivo, fissato, come ricorda Arestovych, per il 9 aprile.

Nessuno confermerà mai ufficialmente questo tragico retroscena, che sta prolungando le sofferenze del popolo ucraino inutilmente, anche perché dovrebbero addossarsi la responsabilità di centinaia di migliaia di morti (al tempo delle trattative in questione le vittime erano poco oltre il migliaio).

Ma ormai le fonti che hanno rivelato che la trattativa era arrivata in porto sono davvero troppe per poter essere smentite. L’ultimo a rilasciare dichiarazioni in tal senso è stato David Arakhamia, leader del partito Servo del popolo, quello di Zelensky (Arakhamia è stato poi costretto a smentirsi; in precedenza avevamo dedicato diverse note a tale tema, tra cui quella dal titolo: “I tre niet Usa alla fine della guerra“). E se non è stata la tragica-messinscena di Bucha (1) a fermare Zelensky, l’alternativa è ovvia: i suoi bellicosi alleati d’Occidente, ai quali ha dato voce Boris Johnson.

(1) Su Bucha, abbiamo scritto diverse note: questa, ad esempio, o questa.

 

 

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