12 Settembre 2019

Hip Hop e Disco-music, così distanti così vicine

di Chiara Magonette
Hip Hop e Disco-music, così distanti così vicine
Tempo di lettura: 3 minuti

Sono tante le ipotesi sulla nascita dell’hip hop. C’è chi sostiene sia nato dal ritmo del funk, chi dal reggae, chi dalla musica elettronica, chi invece dalla religiosità del soul, o chi, più oggettivamente, sostiene che sia il prodotto di una commistione di generi.

Ma non si può negare il forte legame tra l’hip hop e la disco music, basti pensare al termine “disc jockey” e a come il Dj, nato con la disco, sia elemento essenziale nell’hip hop.

Molti sostengono che sia nato nel 1973 con Coke La Rock, che per primo iniziò il rhyming (“fare rime”) insieme al suo partner Dj Kool Herc durante i block parties (feste dell’isolato) del Bronx.

Altri sostengono invece che l’hip hop nasca con la registrazione di “King Tim III” dei The Fatback Band, gruppo funk e disco, nel marzo del 1979, tesi molto più in voga tra quanti ebbero esperienza diretta della genesi di questa nuova corrente musicale.

In realtà “King Tim III” fu un fenomeno limitato, non divenne commerciale come “Rapper’s Delight” dei The Sugar Hill Gang, prodotto qualche mese dopo da Sylvia Robinson, giovane mecenate di Harlem che contribuì allo sviluppo di un genere ancora allo stato embrionale anche grazie alle successive collaborazioni con Grandmaster Flash (altro Dj di grande fama, uno dei pionieri dell’hip hop).

Per anni, infatti, “Rapper’s Delight” fu considerata la canzone madre dell’hip hop per via del suo successo internazionale. Se ripercorriamo questa storia è anche per ricordare che essa aveva come sample – base musicale di riferimento – “Good Times” degli Chic, canzone in puro stile disco, a dimostrazione del legame tra i due generi musicali.

Disco e hip hop si formano all’interno di ambiti diversi, per lo più a New York, e nascono per ballare, divertirsi, socializzare, assolvendo così anche una funzione sociale: l’unione tra minoranze. Minoranze italo-americane, afro-americane e latine per la disco ed esclusivamente afro-americane per l’hip hop.

L’isolamento e la povertà dei blocks, l’oppressione politica ed economica delle comunità afro-americane porterà l’hip hop ad assumere poi una nuova funzione. Sarà, infatti, strumento di protesta politica e sociale contro le derive razziste della società americana.

Ma l’industria musicale, attirata dal suo grande successo, ne farà presto anche un prodotto commerciale. Così all’hip hop di protesta, che pure proseguirà la sua strada, andrà ad affiancarsi – a volte intrecciandosi a volte distinguendosi nettamente – un hip hop mercificato e massificato, che esalta l’edonismo, la violenza, le belle macchine, il denaro, lo sballo, la droga…

Un percorso causato anche dall’intreccio quasi inestricabile tra la storia di alcuni gruppi hip hop con le vicende proprie della criminalità organizzata, sempre più dilagante nei quartieri neri sotto forma di gang.

Un fenomeno, quest’ultimo, che a sua volta alimenterà la criminalizzazione della minoranza afro-americana, oggetto di denuncia di tanti brani hip hop.

Una sorte diversa ma per certi aspetti analoga ha avuto il genere che ebbe parte alla nascita dell’hip hop, la disco-music. Diventata musica commerciale per eccellenza,  si ridurrà nel tempo a “dance music” e a “dance pop”, generi nei quali la cifra dominante sarà sempre più la trasgressione, a tutti i livelli, con le conseguenze del caso.

Così se i due generi alla loro nascita hanno avuto un impatto più che positivo sulla società, favorendo la socializzazione fra estranei, l’industria musicale li ha resi tutt’altro, anche se ovviamente quel filo originario rimane in diversi autori e tante canzoni, che difficilmente però trovano la distribuzione e il successo internazionale dei prodotti spinti dall’industria di cui sopra.

Una parabola inevitabile, forse, dato un mondo sempre più edonistico e materialista, nel senso più retrivo del termine, ma forse anche no.

Per concludere con un brano musicale, rimandiamo a Don’t Believe The Hype, brano dei Public Enemy, che invita a non credere alla propaganda, o alle narrazioni del mondo, che creano nemici dove non ci sono.

 

 

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